Anche i marziani sono verdi

galienIn un recente post su L’Estinto, il filosofo Ivo Silvestro ha avanzato una possibile definizione della percezione umana di “naturalità” che mi ha colpito: naturale è ciò a cui siamo abituati. Quando oggi, con ritardo sui tempi, ho visto il tema scelto presso la Convenzione sulla Biodiversità per celebrare l’International Day for Biological Diversity dello scorso 22 maggio, mi è scattato qualche relè.

Il focus per il 2009 è stato posto sulle IAS o invasive alien species, descritte come “una delle più gravi minacce per la biodiversità, per l´ecologia e per il benessere economico della società e del pianeta“.  Data la rilevanza e la visibilità urbi et orbi dell’iniziativa sono disponibili in rete numerose dichiarazioni e vari report sulle attività svolte nonchè sulle prese di posizione avanzate da politici, amministratori e ricercatori; un esempio è disponibile qui, in italiano e vi invito a leggerlo prima di proseguire. Per approfondire l’argomento al meglio, un set minimo di riferimenti è dato da DAISIE, esaustivo sito dedicato alle specie alloctone che hanno “invaso” l’Europa e da due tra i molti testi disponibili, Invasive Plant Species of the World: A Reference Guide to Environmental Weeds testo edito da CABI International e da Invasive plants: ecological and agricultural aspects, che è disponibile in anteprima su Google Books. DAISIE riporta anche un elenco completo delle specie invasive che hanno colonizzato in un modo o nell’altro anche la nostra penisola. La presenza contemporanea di piante la cui presenza in Italia è concepita come “naturale” (il fico d’India ad esempio) e di piante “non naturali” (il famigerato Ailanto)  rappresenta un ottimo abbrivio per la discussione.

Cosa sono le specie aliene invasive? Si tratta di animali, piante e microrganismi che per effetto del trasporto da un habitat all’altro trovano per varie ragioni ampie nicchie fertili in cui prosperare e moltiplicarsi a dismisura, in genere a causa dell’assenza di competitori diretti. La limitata concorrenza può avere effetti drammatici sulle altre specie presenti nell’ecosistema in cui arrivano gli “alieni”, in quanto la competizione per le risorse può divenire altamente squilibrata o possono essere assenti forme di resistenza o di autoregolazione. Il risultato finale è un cambiamento di ciò a cui siamo abituati perchè –come titolava Repubblica l’anno scorso– “le piante esotiche sfrattano le italiane”, titolo che suona un pò da leghismo botanico ma rende bene. Oltre ad una trasformazione del paesaggio ecologico ed ad una alterazione della biodiversità questo arrivo può incidere a vario titolo anche su aspetti economici come la produttività agricola o ittica, se arrivano ad esempio parassiti che nuociono specie di interesse commerciale o di interesse per l’uomo. Di solito si definiscono come IAS le specie che saltano da un ecosistema all’altro per effetto di attività antropiche: attaccate al fondo delle navi, adese ad altre specie viventi oggetto di commercio globale, deliberatamente introdotte in un continente dall’uomo per i suoi scopi. L’uomo è in genere considerato il vettore principale. A lato, una mappa delle principali rotte seguite dalle IAS considerate più dannose, cartografata da Philippe Rekacewicz nel 2005 per UNEP. ias

Restando in tema fantascientifico, l’esito dell’arrivo di specie aliene in un ecosistema può essere del tutto analogo, ma ribaltato, a quello del finale de “La Guerra dei Mondi” di H.G. Wells. Se in quel caso  gli alieni dello spazio profondo erano sconfitti dalla biodiversità planetaria, salvando così le terga all’umanità altrimenti impotente, in questo caso l’esito non è connotato di solito in maniera positiva. Nel caso di Wells infatti, si garantiva la persistenza di ciò a cui siamo abituati e la competizione evolutiva respingeva la nuova specie aggressiva. Quando i promotori dell’iniziativa parlano di Giacinto d’acqua, di gatti inselvatichiti ed anche di Anoplophora glabripennis, il coleottero che sta martoriando le foreste del Nord America, l’alieno è invece descritto come una grave minaccia alla naturalità ed al benessere dell’umanità, perchè stravolge lo status quo della nostra percezione della Natura o dell’utilizzo che ne facciamo. Ma la dinamica ed il motivo per cui questo avviene è, se spostiamo l’epicentro della definizione di naturalità dall’uomo all’evoluzione, anche perfettamente naturale ed in linea con la competizione estrema che regola la Natura nel suo complesso evolutivo.

Sul sito della CBD citato da Greenreport, ad esempio, si ritrovano le affermazioni seguenti: “il problema delle specie esotiche invasive continua a crescere soprattutto a causa del commercio mondiale, dei viaggi e dei trasporti, compresi quelli turistici. Secondo la CDB «Le perdite ambientali annuali causate da parassiti agricoli introdotti negli Stati Uniti, il Gran Bretagna, in Australia, in Sidafrica, in India e in Brasile sono stimate in oltre 100 miliardi di dollari. Secondo un recente studio il costo globale dei danni prodotti dalle specie aliene sarebbe di 1 trilione e 400 miliardi di dollari, il 5% dell’intero prodotto interno lordo mondiale. Per la CDB si tratta di «Un sotto-prodotto indesiderato della globalizzazione, le specie non-autoctone nuociono ai servizi eco sistemici, ai mezzi di sussistenza ed alle economie in tutto il mondo.

Nella descrizione che spesso viene fatta parlando di IAS, le specie native vengono contrapposte a quelle esotiche, “aliene” apparentemente in virtù di una visione statica della natura, come se per essere” naturale” un ecosistema dovesse essere a) alieno dalla presenza umana e b) immutabile rispetto la percezione di esso a cui siamo abituati. Una dicotomia abbastanza schizoide se si riflette sulla posizione dell’essere umano rispetto alla Natura. Secondo gli scenari descritti le specie alloctone infestanti sembrerebbero quindi definibili come “biodiversità che minaccia la biodiversità per effetto della presenza dell’uomo sul pianeta”. Tornando ab ovo, l’impressione è che il tema della percezione della naturalità e del posizionamento che l’uomo da a sè stesso nella Natura condizionino in modo pesante la lettura di questo aspetto della biodiversità. A guidare questo tipo di descrizione sembra esservi, come si discute nei commenti di un altro post, una visione molto antropocentrica della relazione uomo-natura, fortemente viziata da una sorta di peccato originale per cui l’uomo di pone, lui si’, come alieno alle cose naturali. L’uomo non si vede nè si concepisce come realmente integrato negli eventi naturali, nelle dinamiche evolutive, ma si definisce “colpevole” di spostare specie viventi da un habitat all’altro. In realtà questo ruolo è  condiviso con molte altre specie migratrici e sfruttato fin dalla notte dei tempi da piante, microrganismi ed animali per colonizzare nuovi ambienti, trovare nicchie ecologiche in cui far valere possibili vantaggi evolutivi acquisiti altrove ed incrementare una competizione che contempla per statuto l’estinzione, il cambiamento radicale e la messa in crisi delle situazioni statiche.

Che cosa è dunque “naturale”? Che l’uomo contribuisca al rimescolamento delle specie viventi sul pianeta, dando un contributo alle dinamiche dell’evoluzione in quanto parte del “sistema”? Ma se la definizione che abbiamo introiettato come umani è davvero quella suggerita da Ivo Silvestro, allora è “naturale” solo che tutto resti identico all’attuale, perchè al dinamismo della natura non siamo abituati. Il terreno, inutile dirlo, è terribilmente scivoloso e potrebbe offrire alibi solidi a ben altre pratiche antropiche, ma sembra anche un buon campo di discussione.