Di cosa parliamo quando parliamo di tè verde

Alla domanda: “dal punto di vista salutistico, un bicchiere di tè freddo comprato al supermercato è la stessa cosa di una tazza di tè verde fatta e bevuta?“, l’uditorio risponde con un deciso “no, non è la stessa cosa“. Che scherziamo, è ovvio, no? Alla successiva questione: “Perchè? Che differenze ci possono essere tra un infuso fatto con pochi grammi di droga ed uno fatto (circa) nello stesso modo e conservato per essere bevuto poi?“, l’uditorio si perplime, perde la sicumera e si guarda negli occhi con fare dubbioso. E io che mi credevo. Eppure, la prima risposta era giusta: una tisana ed un soft drink commerciale possono avere parecchie differenze se il gusto non è il nostro unico parametro di scelta.

Antefatto. Lo sconfinamento spinto dell’alimentare nel salutistico sta inevitabilmente coinvolgendo da qualche anno il settore delle tisane, al punto che alcune sono state cooptate dal comparto dei soft-drinks.  Bevete e vi sarà dato. Chi beve tè verde campa cent’anni. Promesse sostenute dall’abbondanza di indicazioni promettenti circa l’assunzione di tè verde nella prevenzione di malattie cardiovascolari e di alcune forme tumorali, dati ottenuti quasi sempre a partire dalla tisana tradizionale con cui diverse aziende alimentari sfruttano il traino del benessere per aumentare l’appeal dei loro prodotti con la spezia della prevenzione. Se il tè verde è benefico, presentiamo ice-teas ed altre bibite che lo contengono come degni rappresentanti del viver sano, questo il razionale. La validazione scientifica relativa all’uso del tè verde converge in maniera abbastanza evidente su una classe di sostanze ben precisa: le catechine, in particolare epicatechina, epigallocatechina ed epigallocatechina gallato, con quest’ultima considerata la più attiva e spesso indicata con l’acronimo EGCG. Alcuni produttori hanno anche adottato un approccio da intergratore alimentare ed hanno aggiunto sulle etichette di lattine e bottiglie la dicitura “contiene tot mg di catechine“, un pò come se si trattasse di un integratore alimentare, di un cibo che acquista valore per l’abbondanza di un principio attivo. In altri casi, più cautamente, si limitano a frasi come “a base di tè verde, la fonte più ricca di catechine antiossidanti“.

Le catechine però vantano alcuni pregi ed alcuni difetti. I primi sono legati alla loro abbondanza in diverse fonti vegetali oltre al tè verde ed al loro effettivo coinvolgimento in un buon numero di processi biochimici, dall’antiossidante aspecifico all’inibizione di enzimi come le proteine chinasi, fino all’interazione specifica con recettori coinvolti nella carginogenesi. I secondi riguardano invece più direttamente la questione di partenza e sono legati alla loro stabilità durante i processi di preparazione e conservazione lungo la filiera. Tutte le catechine tendono infatti a degradarsi abbastanza rapidamente per effetto della temperatura, del pH, dell’esposizione a luce ed ossigeno, del tempo e del tipo di acqua in cui sono solubilizzate. Negli ultimi anni è stato fatto parecchio per capire come si comportano questi polifenoli una volta messi in una bevanda ed è quindi possibile spiegare perchè la prima risposta data alla domanda di partenza era corretta, anche se inconsapevole.

Per prima cosa le catechine sono presenti in una forma ben precisa all’interno della droga d’origine e presentano due gruppi chirali a configurazione definita. A seguito dell’esposizione a temperature elevate durante la preparazione di infusi ed estratti, uno di questi due centri può cambiare configurazione e dare origine al fenomeno dell’epimerizzazione. Se la temperatura dell’acqua di estrazione è inferiore agli 80-90 °C la percentuale di epimerizzazione è bassa (entro il 10-15%) mentre se la temperatura sale oltre i 100 °C per lungo tempo, come può avvenire su scala industriale per aumentare la resa, l’epimerizzazione sale oltre l’80%. Oltre alla temperatura anche l’esposizione alla luce ed il tempo aumentano l’entità di questo fenomeno. Il primo risultato è quindi la scomparsa di buona parte delle catechine originali e la comparsa dei loro epimeri. Da epigallocatechina si passa a gallocatechina, da epigallocatechina gallato si passa a gallocatechina gallato e cosi’ via. Il grafico qui sopra riassume le trasformazioni.

Di suo, va detto, l’epimerizzazione non è un evento drammatico per le proprietà salutistiche delle catechine, o almeno non per tutte. Per quelle aspecifiche più comunemente sostenute -come quella antiossidante- non esistono prove convincenti di differenze tra le due forme di epimeri delle catechine, anzi in genere danno i medesimi risultati. Analoghe trasformazioni, alcune delle quali descritte di seguito, avvengono durante la trasformazione fermentativo-ossidativa delle foglie di tè per ottenere il tè nero e difatti il contenuto in epigallocatechina gallato di quest’ultimo è nettamente inferiore e funzione del grado di fermentazione. Per altre attività invece, soprattutto per quelle che coinvolgono recettori specifici in cui la forma della molecola nello spazio conta di più, qualche differenza ci può essere, ma poco è ancora stato fatto. Tuttavia, nei casi in cui il fato delle catechine nelle bevande è stato approfondito, si è riscontrato che la trasformazione di queste molecole non si ferma con l’epimerizzazione, ma prosegue attraverso una polimerizzazione per autoossidazione o attraverso una vera e propria degradazione in composti a minor peso molecolare attraverso un’idrolisi con separazione tra flavonoide ed acido gallico. Che questo avvenga lo testimoniano indirettamente due tabelle provenienti da due lavori tra loro indipendenti: confrontando le catechine originali e quelle ottenute per epimerizzazione i conti non tornano, con un totale finale inferiore di circa due terzi rispetto al dato di partenza. Tutte le catechine, epimerizzate e non, quindi calano nel tempo all’interno di una soluzione acquosa o, meglio, la quantità di “epi” che si perde non è pari a quella di “non epi” che si forma. Volendo dare alcuni numeri di riferimento, dopo 12 giorni di stoccaggio si perdono circa l’86% di epigallocatechina gallato, il 79% di epigallocatechina, il 62% di epicatechinagallato, il 57% di epicatechina.

L’epimerizzazione in realtà non avviene solo quando prepariamo un soft drink al tè verde su scala industriale, ma anche quando ci facciamo una semplice tisana casalinga. I diversi tempi di estrazione e la temperatura dell’acqua hanno difatti un effetto (a temperature sotto agli 80%, come detto, il fenomeno è meno drastico). Esiste però un altro fattore che può entrare in gioco accelerando ulteriormente il processo ed è la tipologia di acqua. Più questa è pura e priva di minerali disciolti e minore sarà l’entità dell’epimerizzazione. In questo, l’acqua di rubinetto paga dazio all’acqua demineralizzata e probabilmente anche alla minerale. Per chi volesse ovviare conservando in frigo il proprio tè verde fatto in casa con tutti i crismi, è una delusione fredda. La piacevolezza dissetante resta ed il gusto forse pure, ma per effetto degli ioni disciolti nell’acqua non distillata la degradazione delle catechine procede inesorabile e le proprietà benefiche ad esse attribuite non sono più garantite. Se poi si è usata acqua di rubinetto, dopo poche ore le catechine sono in buona parte già andate, come illustra il grafico a lato. La differenza tra i prodotti è nel tempo intercorso tra preparazione ed assunzione: nella tisana bevuta dopo pochi minuti dall’infusione il processo degradativo è solo agli inizi e quindi molto meno marcato.

A garanzia del consumatore, i soft drinks devono poi contenere conservanti ed i correttori anche naturali come l’acido citrico o ascorbico e loro derivati raramente hanno un pH neutro. In alcuni casi il prodotto vira verso l’acidità sia per andare incontro al gusto del consumatore (educato da decenni di bibite saporite) che per favorirne la conservazione. Proprio il punto della shelf-life del prodotto è cardine nella differenza tra le bibite e le tisane quando si parla di polifenoli del tè verde: le prime devono restare a scaffale per mesi. I grafici qui sotto ed a lato descrivono l’entità della degradazione delle catechine in bibite al tè verde contenenti acido citrico, acido ascorbico e saccarosio e popolari bibite gassate addizionate di catechine. Come si nota bastano pochi mesi di stoccaggio del prodotto per far scomparire totalmente le sostanze funzionali. L’acido ascorbico, per precisione, è inizialmente meno aggressivo del citrico, ma dopo sole 24 ore la loro influenza sul contenuto catechinico è identica.

Come accennato, in alcuni casi le aziende di soft drinks si sono spinte ad indicare il contenuto in catechine totali sulle confezioni di bottiglie e lattine. Tuttavia tale valore è sempre riferito alla quantità iniziale al momento della preparazione. La loro reale presenza nel prodotto consumato dopo alcuni mesi trascorsi a scaffale è in realtà tutta da verificare.

Il riassunto: tisane fatte-e-bevute e bibite commerciali a base di tè verde non sono la stessa cosa. Gli studi sull’azione salutistica e preventiva riguardano una classe di molecole -le catechine- che sono presenti nelle prime e molto meno nelle seconde. Per garantire al consumatore la loro presenza a lungo termine le case produttrici di soft-drinks dovrebbero sovradosarle, ottimizzare le formulazioni con accorgimenti ad hoc e dichiarare se la quantità di catechine citata in etichetta si riferisce al prodotto all’origine o a seguito di una prova di stabilità. La letteratura scientifica sugli effetti benefici delle catechine è disponibile per ora solo a partire da tisane e catechine isolate, non su bevande a lunga conservazione, per le quali il corpus delle evidenze è molto minore.

Sarà anche per queste contraddizioni che le vendite di soft drink salutistici sono in contrazione? Sarà anche per questo motivo che EFSA ha dei dubbi sui claim da abbinare a sostanze antiossidanti quando si prescinde dal prodotto che le contiene?

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Piccola bibliografia selezionata (via sendspace)