La natura ce l’ha già: l’ammaraggio dell’Apollo 11

Fascette[Episodi precedenti – Chiedi ai Conquistadores]

Sta scritto che il Re Salomone parlava con i quadrupedi, con gli uccelli, con i pesci e con i vermi. Io invece parlo con le piante, seppure non con tutte, come sembra facesse il vecchio re con gli animali, e ammetto la mia inferiorità su questo punto. Però parlo con alcuni vegetali che conosco bene, e senza bisogno di un anello magico. In questo anzi io mi sento superiore al vecchio re, che senza il suo anello non avrebbe compreso neppure il linguaggio del proprio cane. E non prevedo di buttare alle ortiche la mia dote come fece Salomone con la sua protesi magica, anche perché le piante non mi vengono certo a raccontare chi è nei pensieri delle novecentonovantanove mogli che non ho. Mi danno invece -le piante, non le mogli- una mano sul lavoro. Io le intervisto, le consulto, le interrogo e loro forniscono ispirazione per scovare soluzioni fuori dal coro ai problemi, veri o presunti, grandi e piccoli, del vivere quotidiano nell’antropocene. La mia azienda vende infatti idee a chi ne ha bisogno, siano esse industriali, commerciali o strategiche e il mio compito è quello di pescarle tra quelle casualmente messe a punto dall’evoluzione nel più imponente, inconsapevole e lungo processo di beta-testing disponibile su questa terra. Perché inconsapevole? Perché le piante non sanno cosa stanno facendo. Perché quando mi parlano squadernano soluzioni per come se le vedono addosso ora, guardandosi indietro e notando in retrospettiva cosa è cambiato rispetto ai loro antenati, senza un’idea di dove andranno i pronipoti, perché non esiste un piano, un progetto, una direzione predestinata che non sia quella di provare a caso, tutte assieme i mille modi per risolvere le necessità del momento. Un enorme crowdsourcing vegetale che si fa forte dell’infinito numero di possibilità. Perché le piante? Perché sono aliene agli animali, e grazie alla loro siderale diversità di esigenze l’oscuro scrutare dell’evoluzione ha privilegiato in milioni di anni forme, strategie, molecole, meccanismi a cui l’uomo con la sua sola immaginazione non potrebbe arrivare. O meglio, qualche volta ci arriva, ma solo dopo anni di lavoro, montagne di soldi, spreco di fallimenti e spremitura di meningi da parte di stuoli di ingegneri e scienziati. Anzi, come ripeto spesso a chi mi interroga sul senso della mia professione, l’immaginazione umana spesso si limita a copiare, più o meno inconsapevolmente, quel che la natura ha già fatto (e ottimizzato a puntino). Pensate a un processo fisico, a un sistema meccanico, a una strategia complessa: in natura il regno vegetale e la sua selezione l’hanno già affinato, e in genere funziona in modo efficace, senza inquinare, senza produrre conseguenze di rilievo. Di solito, poi, le piante lo ottengono col minimo della spesa. Certo, tradurre il suggerimento dell’evoluzione e passare dall’assist dell’ideazione alla pratica materiale può non essere automatico e non stiamo quasi mai parlando di pappe pronte e di frutti maturi da essere colti, ma di idee da plasmare per poter ridurre i costi di progettazione. Basi da remixare per i dj delle invenzioni, ma già orecchiabili e di successo.

Uno dei primi a scoprire il motto dell’agenzia (“la natura ce l’ha già”) fu un generale in pensione della NASA, con cui mi misi a discutere durante la pausa caffè a un congresso. Io ero lì nella speranza di agganciare qualche cliente, lui ai bei tempi era stato nel Programma Apollo e da ingegnere aerospaziale aveva supervisionato tutti i progetti del modulo di rientro degli astronauti nell’atmosfera terrestre. Brandendo un tramezzino al pollo mi raccontò col tipico entusiasmo yankee dell’enorme sforzo, delle ore passate a lavorare sui modelli matematici e meccanici, dei litri di caffè la notte, dei fallimenti prima di riuscire a risolvere un conundrum, come lo chiamava lui, apparentemente irrisolvibile: evitare che la navicella di rientro si rovesciasse dopo l’ammaraggio. Gli ingegneri avevano previsto che al rientro nell’atmosfera terrestre il modulo di comando dell’Apollo 11 potesse atterrare nell’Oceano Pacifico ammarando in due posizioni stabili: a testa in su o a testa in giù. Nel secondo caso sia le antenne radio per la localizzazione della navicella che il portellone per il recupero degli astronauti sarebbero finite sott’acqua, con prevedibili complicazioni e un maggiore rischio di affondamento. Dopo lungo penare in sala progettazione, ore di disegni cestinati e continue frustrazioni, lui ed i suoi colleghi optarono per tre borse gonfiabili e impermeabili installate sul tetto del modulo di comando. Sono quei palloncini gialli e tondi che sventolano in cima al modulo in tutte le foto dell’epoca: in caso dsc30640di ammaraggio nel verso sbagliato gli astronauti potevano raddrizzare la navicella se necessario, modificando il galleggiamento e facendo tornare in pochi secondi il modulo nella posizione desiderata. Bastava gonfiare i palloni con compressori posti all’interno. “L’epopea delle missioni lunari fu possibile anche grazie al costo e al lavoro di decine di uomini che faticarono per progettare un oggetto apparentemente banale”, concluse con malcelato orgoglio.

ResearchBlogging.org Il tramezzino gli si fermò in modo strano in bocca, al generale della NASA, quando gli dissi che in natura la soluzione di cui andava tanto orgoglioso era già stata messa a punto, circa 130 milioni di anni prima di lui e del suo team, da un banale albero di pino. Visto che aveva tempo, lo feci sedere per riaversi dal mancamento, gli feci versare un abbondante caffè e iniziai a spiegare.

I semi del pino e delle altre delle Gimnosperme sono nudi, nel senso che non si sviluppano nella chiusa protezione di un ovario e l’ovulo che li genera è esposto all’aria, appoggiato sulla punta di un germoglio o sulla superficie di una brattea legnosa (il cui insieme forma le pigne, che i botanici chiamano strobili). Come ogni ovulo che si rispetti, anche questo attende l’arrivo del gamete maschile per la fecondazione, ma mentre nelle Angiosperme questa può avvenire grazie al vento o con l’aiuto inconsapevole di vari animali, la maggior parte delle Gimnosperme sfrutta il solo meccanismo dell’impollinazione anemofila. In esse l’evoluzione ha affinato diversi sistemi per incrementarne il successo, alcuni dei quali possono fornire ispirazione per varie esigenze umane odierne alla voce “ingegneria aerospaziale”. Ad esempio, la struttura circostante l’ovulo può essere modificata per agevolare la raccolta del polline, dato che facilitare la cattura e l’atterraggio dei granelli portati dal vento aumenta di molto la probabilità di fecondazione. Così, in questa zona della “pigna” in alcune Pinacee e nelle Podocarpacee la selezione naturale ha sono progressivamente imposto efficaci adattamenti, che prevedono la secrezione di liquidi a base di acqua, con la produzione di piccole goccioline su cui il polline si deposita. A loro volta queste gocce sono disposte a riempire una specie di imbuto rivolto verso il basso, in fondo al quale sta l’ovulo. Le goccioline, sempre per aumentare la probabilità di catturare polline, restano esposte all’aria per circa due settimane pur essendo operative a pieno per una sola, trascorsa la quale vengono riassorbite portando il polline catturato in alto, lungo l’imbuto capovolto e verso l’ovulo per compiere la fecondazione, che di fatto si giova di un aiutino idrofilo. Durante questi giorni, però, i granelli non devono affondare ma restare in galleggiamento sul bordo della gocciolina. Questo per vari motivi, tra cui impedire che essi diano il via alla germinazione pollinica troppo presto, “pensando” di essere già arrivati. In più, se galleggiano perfettamente sulla curva della goccia difficilmente si appoggeranno alle pareti dell’imbuto durante la risalita e quindi arriveranno tutti assieme all’ovulo… e vinca il migliore. Cioè quello che galleggia meglio una volta ammarato in quell’Oceano Pacifico in minatura. Quindi: più la goccia resta esposta al vento e più polline si può depositare e più polline riesce ad aspettare galleggiando in rada e più navi possono giungere in porto al momento giusto. L’evoluzione come ha risolto il suo conundrum, così simile a quello della progettazione dell’Apollo 11? Affinando progressivamente lo stesso meccanismo. Se li si osserva al microscopio, questi minuscoli granelli mostrano due ampie sfere vuote che li fanno somigliare al topolino di Walt Disney, detti sacchi aeriferi. La loro funzione primaria è quella di consentire al granello di restare in stand-by a galla sul liquido per tutto il tempo necessario e anche oltre, durante le fasi di riassorbimento lungo l’imbuto. Nel farlo, i due palloncini impermeabili garantiscono inoltre che il granello resti sempre orientato già nella posizione che aumenta la probabilità di fecondare l’ovulo, quando il riassorbimento della goccia lo risucchierà verso di esso. Le fasi riproduttive precedenti la fecondazione avvengono infatti all’interno del granulo di polline secondo una geometria precisa, disponendo le cellule spermatiche e il nucleo del tubetto pollinico da un lato, quello opposto ai sacchi aeriferi. Questo è un vantaggio non da poco rispetto ad eventuali pollini non galleggianti, perché come minimo raddoppia la possibilità di fecondare l’ovulo prima dei concorrenti grazie all’orientamento prefedinito. Non a caso, l’esistenza delle strutture di galleggiamento assicura che le parti riproduttive stiano sempre dal lato immerso, ovvero rivolto verso l’ovulo, e che il galleggiamento non determini capovolgimenti, esattamente come agli ingegneri aerospaziali volevano ottenere per l’Apollo 11. Le figure parlano chiaro.

pollen

Nel complesso il meccanismo è tutt’altro che poco evoluto o primitivo, aggettivi spesso incautamente e ingenerosamente associati a queste piante: la “pigna” si sviluppa in forma eretta, dilata le sue scaglie legnose e mette a contatto con l’aria i suoi ovuli in fondo a imbuti aperti verso il basso, nei quali viene secreto il liquido di cattura per circa una settimana. Sul bordo della scaglia vi sono inoltre minuscoli peli a formare una lanuggine, che come la più classica delle moquettes cattura altro polline, poi dilavato dalla rugiada o dall’acqua piovana e portato, rigorosamente per galleggiamento e rigorosamente mantenendo il verso giusto, verso l’imbuto retroflesso, aumendando ancora di più la schiera dei pretendenti all’ovulo femminile. Le Gimnosperme che non producono goccia nei presssi del proprio ovulo non hanno pollini galleggianti e l’unica specie che combina queste due funzionalità (Picea orientalis) è la proverbiale eccezione che conferma la regola: il suo imbuto è rivolto verso l’alto anziché verso il basso e i sacchi aeriferi del suo polline, pur presenti, sono invece permeabili e porosi e si sgonfiano non appena giunti sul posto, affondando dopo meno di 3 minuti portando direttamente il polline verso l’ovulo.

Per consolare il mio interlocutore, che vedeva in parte vanificata la sua creazione per l’ammaraggio dell’Apollo 11, gli rivelai che le doti idrodinamiche del polline di pino sono state spiegate con precisione solo pochi anni fa. Prima, si era convinti che quei palloncini pieni d’aria fungessero solo da ausilii aerodinamici ed aerostatici, per facilitare il galleggiamento del polline di pino nell’aria e non nell’acqua e favorire il trasporto nel vento di queste piccole mongolfiere (che, per inciso, possono viaggiare fino a 1300 km di distanza). Cosa che non è esclusa, ma che non rappresenta l’unica funzione. Certo, all’epoca delle prime esplorazioni lunari io dovevo ancora nascere, ma se all’epoca la NASA avesse avuto una consulenza presso l’Agenzia Erba Volant, il problema del galleggiamento del modulo di comando sarebbe stato risolto in un attimo. Se avessimo studiato meglio la biologia di base dei pini prima della fine del XX secolo ne avremmo tratto un insegnamento pratico molto utile”, concluse saggiamente il generale, deglutendo con decisione l’ultimo boccone di tramezzino al pollo.

Owens, J., Takaso, T., & Runions, C. (1998). Pollination in conifers Trends in Plant Science, 3 (12), 479-485 DOI: 10.1016/S1360-1385(98)01337-5

Runions CJ, Rensing KH, Takaso T, & Owens JN (1999). Pollination of Picea orientalis (Pinaceae): saccus morphology governs pollen. American journal of botany, 86 (2), 190-7 PMID: 21680358

Tomlinson, P. (1994). Functional Morphology of Saccate Pollen in Conifers with Special Reference to Podocarpaceae International Journal of Plant Sciences, 155 (6) DOI: 10.1086/297209