Reynaldo è un tipo simpatico e fa il portiere nello stabile in cui ha sede l’agenzia. Sveglio e intraprendente, arrivato dalle Filippine molto tempo fa, parla ormai un eccellente italiano e si sbatte come un demonio per tenere pulite scale e androni, gestire i contenitori della differenziata, placcare rompiscatole sulla soglia del palazzo. Ogni tanto lo incrocio per le scale armato di secchio e se c’è tempo intavoliamo animate discussioni gesticolanti sul mio lavoro e sulle sventurate piante nella buia grotta dell’androne. Durante uno di questi pianerottoli salottieri, ho scoperto che Reynaldo ha un sogno e qualche idea. “Qui da voi è tutto pulito, avete ambienti igienizzati e la guerra contro insetti e topi si può fare con armi efficaci. Avete la ricchezza per permettervelo e fate profilassi con gli strumenti adatti. Al mio paese in molte città non c’è ricchezza, non ci sono strumenti, non c’è igiene e i topi ballano. Mica solo loro, anche le cimici nei letti, brrr. Pungono! Succhiano sangue!” Grosso problema, mima agitando le mani. “Mi ha detto l’ingegnere del sesto piano, che gira il mondo per lavoro, di aver trovato un po’ ovunque letti pieni di vita indesiderata e non solo nei paesi poveri. Dice che dormire in certe stanze significa farsi il segno della croce e combattere con pulci e cimici che arrivano dal pavimento”. Lo rincalzo mentre si dedica a passare lo straccio: “In effetti, le statistiche recenti indicano una recrudescenza del problema anche nei paesi ricchi, quelli con gli strumenti, l’igiene e la profilassi. Le cimici dei letti sono tornate a farsi vive persino in America, addirittura a New York. Stanno nascoste di giorno ed escono la notte, strisciano puntando direttamente al posto in cui si dorme. Anche loro godono dei molti viaggi che facciamo e della resistenza sviluppata dagli insetti a molti antiparassitari”. Intanto penso al lato oscuro del mio lavoro, in cui le risposte sono sempre in moto, figlie di adattamenti reciproci tra piante, animali e microrganismi, mutazioni a cui ogni tanto anche il mondo della biomimicry si deve adeguare. Reynaldo sorride e strizza lo straccio nel secchio, appendendosi a peso morto al manico con un sospiro “Sa dottore, vorrei tornare a casa mia un giorno e aprire un’azienda che produca qualcosa di ecologico contro le cimici, quelle dei letti. Secondo me è un bell’affare, c’è da fare della grana, l’igiene è il secondo lavoro più vecchio del mondo. Chissà se c’è qualche idea buona nei suoi schedari”. Salito in ufficio ho deciso che per una buona causa l’azienda poteva anche rinunciare a qualche informazione, regalando a Reynaldo una cartella del mio catalogo, quella del fagiolo di Lima.
Anche Phaseolus lunatus ha dovuto fare fronte al problema degli insetti che lo vogliono mangiare o anche solo pungere per succchiargli
il sangue la linfa, da ben prima che l’uomo passasse dalle amache ai materassi. Altre piante hanno optato per la difesa chimica con sostanze repellenti o hanno chiesto aiuto ai nemici del nemico, nel fagiolo di Lima l’evoluzione ha invece portato in dote una difesa passiva molto efficace per insetti di piccole dimensioni. Le cimici da letto (Cimex lectularius) per nostra buona sorte ne patiscono in modo particolare, evidentemente perché di proporzioni analoghe a qualche avversario ecologico del fagiolo. La strategia, comune a molte altre piante, è quella del reticolo di filo spinato (peraltro prodotto per la prima volta dall’uomo su scala industriale mimando la forma delle spine di un albero, Maclura pomifera) e impiega piccole cellule specializzate dell’epidermide della foglia, con forma variamente appuntita. Sono cave e morte all’interno ma rivestite da una tenace parete esterna di cellulosa, rinforzata da dura lignina. Queste cellule si chiamano tricomi e nel caso di Phaseolus lunatus la loro forma è quella di un uncino ricurvo estremamente acuminato all’estremità. Avete messo anche voi dei vetri rotti sul muro di cinta del giardino? Vi piacerebbe camminare su un pavimento di lamette e chiodi? Mordereste un riccio di mare? Fate volentieri una passeggiata in un cespuglio di rovi spinosi? Ecco, le piante come il fagiolo mandano agli insetti sgraditi lo stesso messaggio deterrente. Gli esempi di varietà in termini di punte, lame, uncini e rasoi nei tricomi vegetali si sprecano: semplici dissuasori appuntiti in gerani, tabacco e Coleus, giungle impenetrabili nelle foglie di verbasco, tricomi aguzzi e rinforzati della Cannabis, che addirittura irrigidisce la base mineralizzandola con carbonato di calcio, corna di cervo del genere Lavandula fino alle affilate picche di Arabidopsis, taglienti come un coltello in ceramica se siete un bruco o un insetto. Tutti ostacoli al movimento, su cui molti insetti vorrebbero applicare ondate di napalm prima di poter muovere con agio le truppe di terra. Un fattore fondamentale perché la cosa funzioni è però la proporzione, la dimensione calibrata tra il deterrente e l’animale da bloccare. Il cespuglio di rovi, ad esempio, è perfetto per respingere un mammifero, ma una lucertola o un topolino lo possono frequentare con agio e senza grossi timori di esserne feriti. Allo stesso modo i tricomi di Phaseolus lunatus sono stati calibrati dalla pressione evolutiva a impigliare e impalare le zampette di insetti grandi come le cimici, e a quanto pare lo fanno con estrema efficienza.
Ricordo di essermi informato su questo aspetto non commestibile del fagiolo partendo da una frase letta da qualche parte: “la scienza ufficiale deve dialogare coi saperi tradizionali”. Alcuni studiosi di biomimicry in camice d’ordinanza erano infatti partiti da una pratica tradizionale delle aree rurali dei Balcani, dove i contadini più poveri all’inizio del 1900 erano ancora soliti spargere a terra, nella camera da letto, foglie di fagiolo. La mattina raccoglievano le foglie e le bruciavano, dicendo che al loro interno erano rimaste intrappolate le cimici. Qualcuno aveva indagato, settant’anni fa, ipotizzando che l’azione potesse essere dovuta alla presenza di tricomi, ma poi la guerra e i successi degli insetticidi avevano fatto fermare le ricerche. La cosiddetta scienza ufficiale ha poi ripreso quel sapere traducendolo nella possibilità di imitare quella soluzione naturale per risolvere un piccolo, forse non fondamentale ma in alcune circostanze assai fastidioso, problema contemporaneo: la lotta alle cimici dei letti. Armati di microscopio elettronico i ricercatori della scienza ufficiale avevano studiato il rimedio tradizionale appoggiando sulle umili foglie di fagiolo alcune cimici e guardando cosa succedeva. Dopo soli sei movimenti delle zampe, ovvero già dopo un paio di secondi, tutte le bestiole risultavano intrappolate e più si dimenavano per liberarsi e più la loro situazione peggiorava: mezz’ora dopo il primo contatto con la superficie della foglia le cimici non riescono a percorrere più di 3 millimetri, ferendosi seriamente a zampe e addome. Anche deponendo 20 cimici su una singola foglia, nessuna di esse è in grado di uscire dal labirinto-trappola dei tricomi. Insomma, un incubo in cui l’insetto non muore direttamente, ma viene intrappolato per sempre o almeno fino a che un contadino non getta la foglia nel fuoco, confermando l’efficacia della pratica tradizionale e aprendo nuovi scenari per impieghi pratici, come quelli sognati da Reynaldo.
La difesa del fagiolo è efficace perché i tarsiomeri delle zampe cursorie delle cimici presentano due unghie incurvate, che servono per far presa sulle superfici, per ostacolare le quali la selezione naturale ha progressivamente favorito piante con uncini sempre più calzanti, fino ad arrivare a forme perfettamente proporzionate (10 micrometri di diametro per 100 di lunghezza). Praticamente, delle tagliole su misura. E la tenacia dei materiali con cui i tricomi sono composti è stata oggetto di una altrettanto precisa selezione, tarata con cura sulle forze delle cimici, che difatti non sono in grado di rompere fisicamente il vincolo. Insomma, pensando a Reynaldo, copiare la natura in questo caso permetterebbe di produrre una superficie che l’evoluzione ha già calibrato per contrastare un nemico assolutamente identico al nostro, risparmiando la fatica di progettare un modello e far prove con misure e materiali. Nella cartella che regalerò a Reynaldo non ci sarà solo questa descrizione teorica, ma anche la prima ipotesi pratica di imitazione naturale, da provare a convertire su amplia scala. La foglia infatti può essere usata come un calco, per generare un negativo da riempire con materiali plastici dotati della stessa resistenza meccanica dei tricomi, creando così una superficie in grado di intrappolare le mefitiche cimici e qualsiasi altro insetto con zampe e forza simili. Per ora, le prove dell’uomo non hanno ancora raggiunto lo stesso grado di efficienza delle foglie del fagiolo: siamo pur sempre degli artigiani dilettanti nei confronti della raffinatezza e dell’efficienza naturale. Basterebbe solo, e magari ci penserà Reynaldo, fare l’ultimo passo, ovvero trovare il giusto equilibrio tra densità degli uncini, forma e dimensione per produrre una striscia adesiva da stendere attorno al giaciglio, o lungo i corridoi dei cinema, sulle cui poltrone pare che le cimici si trovino particolarmente comode. Si potrebbe pensare anche a una versione da viaggio per turisti ardimentosi, da far aderire ai piedi del letto quando si dorme in ambienti non proprio specchiati.
Certo, in amore come nell’evoluzione nulla è per sempre e prima o poi un cambiamento nella frequenza genica delle cimici e di altri insetti striscianti favorirà quelle con arti abbastanza lunghi o grossi da non incastrarsi nelle tagliole o permetterà la formazione di “scarpe” di peli cheratinosi efficaci per galleggiare indenni tra le tagliole vegetali. E’ il bello e il brutto del mio lavoro con la biomimicry e con i continui adattamenti tra piante, insetti e microrganismi. Ma, almeno per ora, la soluzione dei tricomi casca a fagiolo anche per noi e magari anche per la startup filippina di Reynaldo.
Szyndler MW, Haynes KF, Potter MF, Corn RM, & Loudon C (2013). Entrapment of bed bugs by leaf trichomes inspires microfabrication of biomimetic surfaces. Journal of the Royal Society, Interface / the Royal Society, 10 (83) PMID: 23576783