Sono rimaste in quattro?

La recente revisione della nomenclatura botanica sta mettendo mano anche a piante alimentari vicine alla nostra quotidianità. La potatura è consistente, ma liberatoria: degli oltre 600 nomi assegnati in giro per il mondo alle patate coltivate dall’uomo per scopi alimentari, solo 3 sono rimasti a far compagnia a Solanum tuberosum. Più numerose e meno ridimensionate le specie selvatiche, passate da circa 500 a 100 denominazioni distinte. L’articolo che illustra motivi, ragioni ed effetti di questa enorme semplificazione tassonomica spiega come secoli di studi frammentati e di scarse verifiche ex-post tra erbari troppo autonomi nel trattare una pianta così tanto manipolata, abbiano portato ad una bulimia di specie con conseguente confusione negli studi agronomici, nutrizionali, botanici e chimici. Esiste anche un’altra motivazione all’entropia botanica del caro tubero: l’eccesso di zelo dei sistematici desiderosi -spesso inconsapevolmente- di caratterizzare come entità uniche le varietà locali andine, in realtà espressione variegata di un unico ceppo. Anche le modalità di lavoro hanno facilitato l’opera. Ad esempio, molte specie precedentemente descritte come uniche erano state classificate da botanici sovietici che le avevano osservate e studiate dopo aver portato semi e tuberi dalle Ande in Russia, senza considerare che le diverse condizioni di clima, altitudine e latitudine potevano determinare interferenze alla descrizione.

L’articolo riporta anche le chiavi dicotomiche per il riconoscimento delle quattro specie superstiti, sebbene le ResearchBlogging.orgtre specie minori (Solanum ajanhuiri, S. curtilobum, S. juzepczukii) siano coltivate esclusivamente nella culla della papa, sugli altipiani delle Ande centrali tra Perù e Bolivia. Come ben spiega questa recensione, il nuovo ordine permetterà di far convergere sulle debite specie le informazioni sinora raccolte ma frammentate su una miriade diverse denominazioni. Un esempio su tutti: ricostruire al meglio le origini filogenetiche delle patate attualmente utilizzate dall’uomo, per gestire adeguatamente le banche di germoplasma ora a disposizione, fondamentali per migliorare e garantire nel tempo il prodotto disponibile sul mercato. Una conseguenza che ha riflessi diretti più per chi studia che per chi mangia patate.

Questo processo di semplificazione tassonomica infatti non implica affatto che le patate disponibili in commercio siano tutte uguali, anzi la loro variabilità intraspecifica ed interspecifica è notevolissima e questo si traduce in un’offerta potenzialmente proteiforme, fatta salva la tendenza all’omologazione dei mercati. Come visto recentemente con le mele, anch’esse tutte raccolte sotto un’unica specie botanica ma nient’affatto uguali tra loro, la selezione ormai millenaria condotta dall’uomo e la propensione del genere Solanum per le ibridazioni ha portato a sviluppare circa 4000 tra cultivars ed ibridi e migliaia di varietà di patate che ricadono sì sotto pochi nomi botanici (anzi, praticamente tutte sotto S. tuberosum), ma sono estremamente diversificate per caratteristiche fitochimiche, tecnologiche ed agronomiche (resistenza alle malattie, abbondanza di amido, presenza o assenza di metaboliti secondari specifici, aumento di micronutrienti come il ferro, dimensione, forma e consistenza dei tuberi, proprietà nutrizionali). Tutta questa variabilità è funzione del comportamento del metabolismo secondario e primario della pianta ed è macroscopicamente visibile nella maggiore e minore presenza di determinati composti chimici. Esistono ad esempio mille sfumature di patate amilacee e farinose (più adatte alla frittura) o cerose e compatte (più resistenti alla lessatura ed allo sfaldamento) a seconda della prevalenza rispettivamente di amilosio o amilopectina nel loro amido. Chi volesse toccare vitualmente con mano questo concetto può fare un giro sull’European Cultivated Potato Database e sulle sue oltre 5000 schede, sfogliare il British Variety Potato Database o se avventuroso e fortunato, andare a visitare di persone il Parque de la papa dalle parti di Cuzco in Perù.

Un esempio di immediata fruizione è garantito dalla colorazione della polpa del tubero caro a Van Gogh ed ai pubblicitari in vena di allusioni spinte, in quanto può coprire un ampio spettro cromatico. Siamo assuefatti al colore più o meno giallo della polpa delle patate del supermercato, legato alla maggiore o minore presenza di carotenoidi, ma esistono anche patate blu-viola o rosse, ricche in antociani, come la Negresse nota sin dagli anni ’30 in Europa o le varietà Adirondack, Azul Toro, Vitelotte, All Blue o Blue  Congo illustrata qui sopra. Tutte figlie di qualche campionamento nelle Ande nei secoli passati, poi radicate in zone geografiche precise soprattutto grazie al loro esotismo (ne vengono coltivate su piccola scala anche dalle parti di Cavalese), queste varietà combinano il colore scuro della polpa ad un gusto più dolciastro, vagamente “nocciolato”. Per gli amanti del cöté salutistico della faccenda queste varietà di patate quaresimali contengono anche più flavonoidi ed acidi fenolici delle loro omologhe pallide e seguendo alcuni accorgimenti in cottura possono perdere solo parte dei loro benefici antiossidanti, grazie al fatto di contenere antocianine acilate, più resistenti di altre al calore. La quantità di pigmenti può variare considerevolmente e bastano pochi mg/grammo per impartire colore alla polpa ma in alcuni casi, come nella neozelandese Urenika, questa può arrivare a contenere più antocianine di alcune bacche rosse come more e lamponi. Grazie alla elevata resa in peso ed all’abbondanza di pigmenti queste varietà, assieme alle carote nere Black Knight ed Indigo, sono in realtà la principale fonte commerciale di antocianine per uso alimentare (coloranti, additivi, antiossidanti).  Il lancio di patate fritte rosse, arancio, lilla o rosa già avvenuto sui mercati anglosassoni non rappresenta quindi un evento innaturale ma una manifestazione di diversità interna ad una unica specie e funzione della quantità e del tipo di antociani (malvidine e petunidine per le cultivar blu-viola, pelargonidine per quelle rossastre).

Il 2008 è stato per la FAO l’anno internazionale del tubero più amato del mondo ed il sito realizzato per l’occasione (da cui proviene il disegno in apertura) contiene tutto il desiderabile circa le caratteristiche delle cultivar più o meno diffuse in commercio o disponibili solo nelle zone in cui l’enorme biodiversità intraspecifica di Solanum tuberosum, S. ajanhuiri, S. curtilobum, S. juzepczukii è massima. Quattro del resto è un numero solido ed efficace: i quattro moschettieri, i quattro cavalieri dell’Apocallisse, i quattro evangelisti e persino i quattro dell’Ave Maria sembravano pochi, ma hanno prodotto risultati potenti e plurimi. Ci saranno anche solo quattro specie di patate commestibili, ma fuori dal seminato circoscritto della sistematica valgono come più quattromila.

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