Che ci sta a fare l’amigdalina nel miele di mandorla? Non sarà nefasta come alcuni neonicotinoidi ma è pur sempre una tossina, forse anche per le api. Per effetto dell’idrolisi enzimatica questo glicoside libera infatti acido cianidrico e sebbene esistano alcune specie di animali e di insetti per i quali non è velenoso (non producono gli enzimi incriminati e lo espellono integro) per molti mammiferi lo è, come insegna la storia delle mandorle amare. E pare persino che non sia l’unica sostanza tossica presente nei nettari bottinati dalle operaie pronube: gli alcaloidi pirrolizidinici nelle Boraginaceae e nel genere Senecio, alcuni diterpeni nel Rododendro, glicosidi insetticidi in Astragalus ed altre sostanze ancora sono stati rinvenute nel nettare di varie piante ad impollinazione entomofila. Nel miele d’arancio addirittura c’è della caffeina, mentre in quello del tabacco e dei suoi parenti si trova una modica ma sensibile quantità di nicotina, così come nel miele di tiglio (Tilia cordata). In alcuni nettari è particolarmente abbondante il mannitolo, uno zucchero che permette sì una minore fermentabilità della soluzione ma che al tempo stesso risulta repellente per alcuni insetti. La tossicità del nettare e dei mieli che ne derivano non rappresenta comunque un problema per il consumo umano, con poche eccezioni come quella di alcune specie Rhododendron. Dal punto di vista ecologico invece la presenza di questi potenziali veleni è apparentemente un nonsense: il tentato avvelenamento dell’impollinatore sarebbe un gesto suicida da parte del mandorlo e dei suoi sodali. No insetto, no impollinazione, no party.
I motivi di queste strane presenze non sono chiari. Tra le ipotesi al vaglio anche quella secondo cui queste tossine stanno li’ più o meno per sbaglio. Le piante le producono per difendersi dagli insetti fitofagi ma potrebbero non aver sviluppato sempre un sistema abbastanza efficiente per evitare che finiscano nel nettare, a causa di una comunicazione quasi diretta tra nettarii e floema, ovvero tra il sistema che trasporta i metaboliti secondari delle piante ed i serbatoi del nettare nei fiori. A sostegno di questa ipotesi il fatto che non esistano specie vegetali in grado di accumulare queste tossine esclusivamente nel nettare, mentre molte specie tossiche hanno un nettare in qualche modo “avvelenato”. Più verosimile, stando a quel che raccontano i non molti studi in merito, che questi alcaloidi e glicosidi svolgano anche uno o più ruoli ecologici. Ad esempio, quello di impedire o almeno limitare lo sfruttamento dei giacimenti fiorali di zuccheri da parte di insetti considerati cattivi imponninatori come le formiche, che rubano nettare senza toccare il polline. Oppure per tenere alla larga insetti la cui presenza non è gradita dagli impollinatori, come le vespe. In questo caso la sintonia fine dell’azione tossica permette la deterrenza degli ospiti sgraditi e garantisce di preservare il tesoretto energetico per quelli che devono fare il lavoro più importante. Il caso della deterrenza verso le vespe offre l’aneddoto più curioso in questo scenario già poco convenzionale grazie all’elleborina purpurea (Epipactis purpurea, un’orchidea) ed ai suoi nettarii-osteria. In questo caso la tossina presente nel nettare è abbastanza banale: alcol etilico prodotto da una leggera fermentazione non inibita dalla pianta, che anzi ne trae vantaggio. Il suo compito è di stordire le vespe che visitano i fiori, in maniera tale da ridurre la frequenza con cui queste si scrollano di dosso il polline. Le vespe son ragazze di carattere, ma un po’ vanitose: si pettinano spesso.
Non è ancora chiaro però se il gioco vale la candela, ovvero se il costo di produzione di sostanze deterrenti come l’amigdalina e la perdita di appetibilità hanno alla fine un rapporto costo/beneficio favorevole. Nel caso del mandorlo, ad esempio, le api vanno a bottinare i fiori “al cianuro” solo quando nei dintorni non vi sono altre piante fiorite, ovvero all’inizio della stagione. Quando si aprono altri banchetti meno problematici, scelgono quelli e tanti saluti. E’ anche possibile, ma non dimostrato, che alcuni imenotteri abbiano sviluppato una forma di resistenza alle tossine del nettare acquisendo così un vantaggio sui concorrenti: il rifornimento esclusivo grazie ad una sorta di mitridatismo. Il cliente fisso è sempre un vantaggio, sia per l’oste che ha l’incasso assicurato che per chi si siede a tavola, che ha la garanzia di avere un trattamento migliore.
Per caffeina e nicotina la situazione potrebbe invece essere diversa, ovvero si può delineare l’ipotesi di un effettivo condizionamento del comportamento degli insetti attraverso una fidelizzazione (stile raccolta a punti con premio). Le api infatti preferiscono davvero nutrirsi sui fiori che contengono questi alcaloidi ed optano anche in laboratorio per i campioni di nettare addizionato. In questo senso potrebbe prevalere l’effetto ricompensa. Se ti rifornisci da me (e veicoli il mio polline sui miei parenti e non lo porti altrove), ti offro un caffè, una sigaretta, una red bull per volare più a lungo e lavorare di più. Anche la tossicodipendenza produttivista rischia di essere una faccenda naturale. Brutta storia per noi paladini dell’indolenza.
Quai O.T. – giovedì 18 febbraio a Rondissone sono fioriti i salici ed i noccioli. Fenologicamente parlando vuol dire che siamo ad una media di 10° giornaliera e si può iniziare a seminare in pieno campo.
Il tutto grazie alle api parcheggiate sul terrazzo.
Sulla questione alcaloidi… quindi quando mi siedo di fianco alle arnie a fumarmi il sigarettino post prandiale non sono solo! 😉
Quai O.T. – giovedì 18 febbraio a Rondissone sono fioriti i salici ed i noccioli. Fenologicamente parlando vuol dire che siamo ad una media di 10° giornaliera e si può iniziare a seminare in pieno campo.
Il tutto grazie alle api parcheggiate sul terrazzo colte a portare palline di polline giallo e grigio a casa.
Sulla questione alcaloidi… quindi quando mi siedo di fianco alle arnie a fumarmi il sigarettino post prandiale non sono solo! 😉
[…] – Meristemi ha un succoso articolo sulla dipendenza da alcaloidi delle api. Tra i compound preferiti anche la caffeina e la […]
Forse meristemi mi può togliere una curiosità.
Senofonte racconta che i suoi soldati arrivano sul Ponto sfiniti e affamati, trovano alveari, ne mangiano il miele, ridono, ballano, impazziscono e stramazzano come morti. L’indomani si svegliano senza ricordare alcunché. Era miele di rododendri dal nettare neurotossico che nelle api non produce lo stesso trip, a quanto sembra.
Succedeva dalle parti di Trebisonda, è per questo che si dice “perdere la trebisonda”?
E’ assai meno fascinosa, ma credo che la spiegazione del modo di dire sia più recente e soprattutto legata a pratiche commerciali e nautiche in epoche in cui i GPS non erano disponibili sulle flotte delle Repubbliche Marinare ed i porti sicuri erano pochi. Oppure perchè quel porto era un caposaldo dei commerci con l’oriente e perderlo significava smarrire la via di merci pregiate. Non credo che il miele abbia colpe (o meriti) questa volta.
credevo che si riferisse a un disorientamento mentale e invece è geografico!
Grazie mille, l’oca straniera.
Ciao, ti leggo sempre anche se non scrivo, trovo sempre articoli interessantissimi, ma quello sulle api mi ha quasi spiazzato altro che buttare giù un francobollo qua l’idea è sballare con il miele, nel mio apiario è già tutta un’anarchia se mi esce anche questo mi arrestano, idee in controtendenza sei grande.
Spiace frenare gli impeti creativi, ma il contenuto alcaloideo è troppo basso per esercitare alcunché. Viene prima il diabete, insomma.