Davanti a me, il balcone affacciato sulla grigia metropoli tentacolare offre un asilo sospeso a una pianta di rosmarino. Un caparbio esemplare di Rosmarinus officinalis L. della Val di Vara, ruvido come tutti gli abitanti di quelle terre, clonato da un esemplare rinselvatichito chissà quando su un pendio terrazzato. Mi piace pensare che la sua innata scontrosità gli permetta di resistere in barba a muri, smog, cemento, mezz’ombra e poche cure. Mentre mi aggiro per una rapida ricognizione lo vedo gradire questo inverno mite e già mi prefiguro il suo unico momento di tenerezza primaverile, quando si riempie di fiori violetti per un’escusiva, annuale concessione alla socialità: la visita di un’ape. Più o meno ogni giorno durante la fioritura, l’altrimenti burbero rosmarino ligure si sbottona e apparecchia il proprio armamentario di ospitalità a base di colori, profumi, nettare e pollini. Per una sola ape. L’ho osservata con cura e ne sono certo, durante lo scorso anno è stata sempre la stessa. Arriva regolarmente verso le undici del mattino, non senza affanno bottina metodicamente ciascun fiore e poi se ne va in cerca di altri fragranti approdi urbani. Per tutta la primavera l’ho guardata da dietro la finestra chiedendomi da dove venisse e quanta strada faccesse per onorare quell’appuntamento quotidiano. Sebbene il vicino Sant’Ambrogio sia patrono degli apicoltori, la cintura urbana e soprattutto il centro della città di Milano mi sembrano assai parchi di arnie, per cui sicuramente l’ape ha trovato il mio rosmarino dopo lunghe e faticose perlustrazioni. Così, nello strano silenzio di una nebbiosa giornata invernale senza traffico, senza fiori e senza insetti, mi trovo a pensare a come un’ape possa scovare e costantemente ritrovare, a distanze per lei siderali, un rosmarino perso tra palazzi, tetti e condomini. E come lo possa tracciare non solo in un dedalo di colori e figure a lei innaturali, ma anche in una babele di odori che in genere nulla hanno a che fare con quelli che lei cerca.
Anzi, ora che ci penso, con la cappa di smog che regna su tutta la pianura Padana, l’ardita ape urbana tornerà a trovare il mio rosmarino ligure anche la prossima primavera?
Credo che l’accordo tra fiori e impollinatori sia chiaro a tutti: i secondi aiutano i primi nella fecondazione e i primi attirano i secondi mediante una combinazione di sostanze volatili e colorate. In linea di massima i profumi servono per farsi trovare a grandi distanze e per riconoscere da vicino i fiori più ricchi di nettare, mentre i pigmenti facilitano le procedure di atterraggio. Tutto è mirato all’efficienza e al contenimento dei costi: migliore il rapporto spesa/guadagno e maggiore la probabilità che l’insetto faccia quel che desidera la pianta. La chiave del rapporto sta nella fragranza del fiore, una miscela di decine di sostanze la cui evaporazione è collegata alla quantità di nettare disponibile. La sua percezione da parte dell’impollinatore avviene creando una sorta di immagine collegata alla generosità della fonte, memorizzata e trasmessa, nel caso delle api, alle compagne per aiutarle a ritrovare i fiori più generosi di nettare. Si sa che bastano minime fluttuazioni nella miscela per confondere gli insetti impollinatori e causare una perdita di efficacia nel recapito del messaggio.
Questo avviene perché gli insetti riconoscono e memorizzano il segnale olfattivo come se fosse un’immagine: non registrano i singoli componenti ma il loro insieme.
Il viaggio per l’ape è una specie di gincana, un tragitto a ostacoli nel quale il profumo del fiore funge sia da navigatore che da faro, facilitando la costruzione di un percorso ed emettendo nell’aria un segnale costante di richiamo. L’occhio umano non lo vede, ma ciascun fiore in cerca di impollinatori diffonde nell’aria colonne e di gas profumati che formano volute fragranti del tutto simili a quelle meno gradevoli del fumo di una ciminiera o di una sigaretta. Gli insetti a loro volta percepiscono gli odori grazie a recettori olfattivi posti su sensibilissime antenne: in alcuni casi bastano 6 sole molecole posate su di esse per produrre un segnale riconoscibile dall’animale. In molti casi questo permette di individuare segnali olfattivi a diverse centinaia di metri di distanza e probabilmente anche a oltre un chilometro da api, bombi, farfalle e coleotteri, se le condizioni di trasporto aereo sono ideali (mancanza di ostacoli fisici, folate improvvise, pioggia). Con ogni probabilità la mia ape si è imbattuta in una di queste volute nel cielo di Milano e come un segugio ha seguito la pista fino al mio balcone.
Osservo la nebbiolina che avvolge i tetti e la fuliggine che si è depositata sul vaso del rosmarino: chissà se tra gli ostacoli di questa missione c’è anche lo smog dell’allarme inquinamento di questi giorni.
Se così fosse, una minore copertura del segnale olfattivo si tradurrebbe in diverse complicazioni per le due parti ai capi di questa comunicazione. L’ape dovrebbe faticare di più, consumando più energie e portando a casa un saldo forse passivo tra energia spesa e zuccheri raccolti, volando più a lungo in cerca di campo sufficiente a captare la chiamata del fiore. In più tenderebbe a perdere memoria del percorso da compiere, per colpa della modificazione subita dalle tracce da seguire. Andrebbe persa anche la capacità dell’insetto di collegare un segnale (l’immagine olfattiva) con un evento positivo (la presenza di nettare) e quindi di istruire le altre api sui territori migliori da bottinare e l’aumento della fatica sarebbe a cascata su tutto l’alveare. Per il rosmarino (e per tutte le altre piante) diminuirebbero invece la probabilità di riprodursi e dare frutti, soprattutto tra piante distanti tra loro.
Spiace dire che il condizionale delle frasi precedenti non è d’obbligo, nel senso che effettivamente lo smog interferisce in modo drastico nella comunicazione pianta-insetto, degradando buona parte dei composti volatili emessi dai fiori, vanificandone lo scopo.
Non è solo una questione di mascheramento, di voci olfattive discordanti che si sovrappongono e si mescolano. Il profumo del fiore non viene coperto da quello dei gas di scarico di automobili, stufe e caldaie come una vocina debole da un rombo, ma subisce una vera e propria degradazione chimica. Le reazioni chimiche infatti non avvengono solo in ambiente liquido, ma anche tra sostanze gassose “sospese” nell’aria.
Chi ha fatto le prove ha osservato che alcuni tra i più comuni componenti delle fragranze fiorali sono completamente smontati quando entrano a contatto con due elementi dello smog, gli ossidi di azoto (indicati come NOx) e l’ozono, sparendo completamente dalla miscela.
Circa due terzi delle piante che reclutano insetti per l’impollinazione basa il proprio richiamo su terpeni come il beta-ocimene, il mircene, il beta-cariofillene, il linalolo e il terpinene, miscelati in proprozioni variabili a centinaia di altri composti di diversa natura come la fenilacetaldeide. La metà di queste sostanze scompare o si riduce in modo sensibile per gli insetti non appena entra a contatto coi fumi esausti di un motore diesel. Un composto importante come il farnesene addirittura sparisce completamente dopo un solo minuto di esposizione.
Le prove disponibili non sono moltissime, ma comunque condotte su fiori e insetti diversi (bocca di leone, cavolo, coleotteri, api), in condizioni di laboratorio e di campo aperto, su alcune decine dei più comuni costituenti dei bouquet fiorali e valutando gli effetti di distinti componenti dello smog, soprattutto di quello generato da motori diesel.
Gli esiti sono convergenti: sia i residui azotati della combustione diesel che l’ozono degradano in pochi secondi terpeni e altre sostanze volatili, rendendo irriconoscibili i fiori a diverse specie di insetti impollinatori, che anzichè puntare su di essi continuano a volare in cerca di altri segnali.
Fino ad ora nessuno ha testato direttamente gli effetti del particolato PM10 e PM 2,5 che nelle ultime settimane affollano l’atmosfera urbana e i titoli dei telegiornali. Un motivo per questa lacuna esiste, ed è strettamente biologico. L’ape che visita il mio rosmarino urbano è in questi giorni -spero per lei- al riparo nel chiuso del suo alveare e se tutto va bene non uscirà fino alla primavera, quando piogge e vento avranno -spero per noi- posto un palliativo sintomatico al problema dello smog invernale. Ovvero né l’ape né il profumo dei fiori di rosmarino saranno particolarmente colpiti dall’allarme inquinamento del Natale 2015 e dovuto alparticolato atmosferico emesso da auto, stufe, fabbriche e riscaldamenti, perché questo ristagna negli strati bassi dell’atmosfera in un periodo distinto dalla fioritura. Purtroppo -per tutti, stavolta- lo smog cambia pelle ogni stagione e le emissioni non cessano di essere pericolose una volta finito l’inverno.
In particolare, il problema legato all’ozono e ai NOx non è strettamente urbano, non tocca più solo il mio balcone e si estende alle stagioni più calde, proprio quelle in cui fiori e impollinatori sono nel massimo della loro attività.
Questo fenomeno prende il nome di smog fotochimico, porta ad un incremento dell’ozono negli strati bassi dell’atmosfera ed è dovuto alla reazione tra ossidi d’azoto dello smog di tutto l’anno e ossigeno atmosferico mediata dalle radiazioni solari, che in estate e primavera sono per l’appunto più intense. Le stesse quantità di ozono e NOx che nelle prove sperimentali degradano i richiami odorosi dei fiori sono infatti riscontrabili in primavera e in estate sia in città che nelle campagne, dove vengono diffuse dai venti. Per dare qualche numero: gli oltre 260 microgrammi per metrocubo di ozono registrati in varie zone della Lombardia nel 2014 e nel 2015 corrispondono a circa 120 ppb. Nelle ricerche condotte sino ad ora, una concentrazione di 80 ppb di ozono (pari a 180 microgrammi per metrocubo) è sufficiente a degradare alcuni composti minoritari del profumo dei fiori e impedirne il riconoscimento da parte degli impollinatori, che non puntano più i loro fiori preferiti e non ne distinguono il profumo da quello dell’aria pura.
La presenza di ozono negli strati bassi dell’atmosfera è registrata dall’uomo da quasi due secoli, per cui è possibile fare qualche proiezione e spiegare i cambiamenti con numeri abbastanza intuitivi. Si stima che mentre nella metà del 1800 (agli albori della rivoluzione industriale) il segnale del faro olfattivo di un fiore poteva percorrere senza problemi poco più di un km senza degradarsi, ora la stessa miscela di sostanze odorose non riesce a spingersi oltre i 2-300 metri. In altre parole, il raggio di azione del faro profumato si è ridotto di quattro volte: solo il 25% dei suoi componenti supera questa distanza e diversi di essi scompaiono completamente pochi secondi dopo il loro decollo dai petali, per colpa dei fumi diesel. Per i segugi del nettare e dell’impollinazione potrebbe essere un problema serio.
E’ assai probabile infatti che questo obblighi gli insetti impollinatori a percorsi più lunghi e a maggiori fatiche per portare a casa la pagnotta, oltre che ridurre la probabilità che due piante distanti tra loro possano fecondarsi a vicenda.
Anche gli alibi del “combustibile meno inquinante” non alleviano la tassa: tutte le prove sperimentali che hanno prodotto questi dati sono state condotte con diesel “verde”, a basso contenuto di zolfo. Fino ad ora nessuno ha testato gli effetti dell’interazione ape-rosmarino, che potrebbero essere meno critici di quelli fino ad ora studiati, ma è una ben magra consolazione. Se in primavera l’ape non tornerà a visitare il rosmarino milanese della Val di Vara, la lista dei sospetti colpevoli sarà molto breve.
- Fuentes, J., Roulston, T., & Zenker, J. (2013). Ozone impedes the ability of a herbivore to find its host Environmental Research Letters, 8 (1) DOI: 10.1088/1748-9326/8/1/014048
- Lusebrink I, Girling RD, Farthing E, Newman TA, Jackson CW, & Poppy GM (2015). The Effects of Diesel Exhaust Pollution on Floral Volatiles and the Consequences for Honey Bee Olfaction. Journal of chemical ecology, 41 (10), 904-12 PMID: 26424685
- Girling RD, Lusebrink I, Farthing E, Newman TA, & Poppy GM (2013). Diesel exhaust rapidly degrades floral odours used by honeybees. Scientific reports, 3 PMID: 24091789
- Blande JD, Holopainen JK, & Li T (2010). Air pollution impedes plant-to-plant communication by volatiles. Ecology letters, 13 (9), 1172-81 PMID: 20602627
- McFrederick, Q., Kathilankal, J., & Fuentes, J. (2008). Air pollution modifies floral scent trails Atmospheric Environment, 42 (10), 2336-2348 DOI: 10.1016/j.atmosenv.2007.12.033
Bello come al solito. Buon anno.
Grazie e buon 2016 anche a te!
Grazie, non conoscevo l’impatto ambientale dell’inquinamento sulle interazioni tra piante e insetti utili. Buon Anno, ho acquistato il tuo libro e ho iniziato e leggerlo. Complimenti!
Grazie e buon anno anche a te!