La verità, vi prego, sul raspberry ketone

ResearchBlogging.orgUno slogan nato in tutt’altro contesto ma ben diffuso, come ogni sintesi che coglie nel segno, recita: “Dont’ believe the hype”, non credere alla moda, alle montature, non farti fregare. Chi lo cantava teneva una sveglia al collo, forse per sottolineare il messaggio. In un contesto dominato dagli aspetti di marketing come quello della salute e del benessere, lo stesso mantra dovrebbe essere tenuto sempre ben presente da consumatori e operatori professionali. Consuetudine infatti vuole che i nuovi ingredienti salutistici siano presentati con toni enfatici, che esagerano la realtà dei benefici facendo leva su vocabolari mirati più a distogliere l’attenzione che a far capire. Ad esempio, pur con un background di evidenze scientifiche interessanti per alcune precise applicazioni e non scarno come quello di altre piante anche più vendute, Rhodiola rosea (altra pianta che ha da poco cambiato nome, ora dovremmo chiamarla Sedum roseum) non è esente da descrizioni e iperboli che ne esagerano le potenzialità, mirate a colpire l’aspetto su cui siamo tutti più deboli: quello emotivo.

Come si coltiva un mito. Per esempio, questa pianta è descritta come capace di apportare “straordinari benefici per lungo tempo considerati segreto militare sovietico”, ma al tempo stesso “il suo impiego ha una storia leggendaria: antiche popolazioni siberiane ne tramandavano l’uso di generazione in generazione” e “medici mongoli prescrivevano l’estratto di Rhodiola per il trattamento della tubercolosi e del cancro” al punto che “gli imperatori cinesi hanno organizzato numerose spedizioni in Siberia orientale con il compito di reperire i luoghi in cui tale pianta cresceva spontaneamente poiché le popolazioni locali custodivano gelosamente il segreto”. Nella generazione del mito associato a una droga vegetale gli elementi esotici, arcani, lontani nel tempo, mai quantificabili e legati ai presunti aspetti positivi (e impossibili da verificare) sono spesso amplificati. Così come i riferimenti contraddittori, tra ipotetici segreti occultati alla gente comune e tuttavia al tempo stesso base di saperi millenari tramandati oralmente, che lasciano intuire poteri ai confini del magico anche su malattie (il cancro) che in passato non erano codificate dal punto di vista terapeutico. Un’altra strategia della comunicazione meno corretta è invece di segno completamente opposto: l’uso insistente, ma privo di spiegazioni adeguate, del linguaggio medico-farmacologico e dei tecnicismi del suo gergo. E così, per esempio, la rodiola viene descritta al consumatore come capace di aumentare “i livelli di adenosintrifosfato – ATP – e di creatinfosfato – CP – nel tessuto muscolare striato, aumenta i livelli plasmatici di betaendorfine, mentre a livello del SNC inibisce la COMT, con una possibile attività antidepressiva”, una delle molte espressioni che possono dire tutto e nulla circa la validazione scientifica di una droga vegetale. Come la storia del Cargo Cult insegna, questo metodo gioca con la percezione “magica” che l’uomo moderno più acritico conferisce a tutto ciò che è scienza o tecnologia. Tutto questo, in letteratura e nel marketing, va a finire sotto al nome di mitopoiesi, che non è altro che la versione culturalmente alta dell’hype. E se questo accade per una pianta come la rhodiola, per la quale abbiamo a disposizione diversi plichi di evidenze scientifiche, figuriamoci cosa avviene per molecole ed estratti per i quali gli studi si contano sulle dita di una mano.

raspberry in zoomIl lampone dimagrante. Questo preambolo per arrivare al nostro hype e per capire come leggere tra le pieghe del mito. Da circa cinque anni è proposto sul mercato, soprattutto online e con un marketing estremamente aggressivo, un agente dimagrante a base di una sostanza chiamata “raspberry ketone” o “chetone di lampone”. Viene presentato alternativamente come una miscela di chetoni non ben precisata, come un estratto concentrato di lampone o come una miscela di enzimi. Viene venduto in compresse che lo contengono da solo o in miscela con altri 4-5 composti o estratti vegetali. Già la grossa confusione mediatica sulla sua composizione chimica dovrebbe mettere in guardia i consumatori: chi non ha una faccia precisa e un recapito certo raramente è affidabile e se un principio attivo è mescolato ad altri composti in dosaggi sempre diversi, significa che la sua capacità è limitata. La molecola è indicata come capace di “bruciare i grassi e gli zuccheri”, di “accelerare il metabolismo” e di “operare un effetto termogenico sui grassi stoccati, con effetti anti-obesità“. Seguono foto di prammatica con silhouette prima/dopo il trattamento.

La fonte vegetale non viene risparmiata nella presentazione del prodotto, descritto come derivato dal lampone e quindi implicitamente naturale, nell’accezione naif cui sempre si ricorre in questi casi. I frutti del lampone abbondano su brochure e confezioni, a suggerire che si tratti di un diretto derivato vegetale. Quel che conta però è il contenuto e non la copertina e in effetti il raspberry ketone (il cui nome chimico corretto sarebbe  4-(p-idrossifenil) butan-2-one) è presente nei frutti del lampone, nei quali costituisce uno dei componenti dell’aroma a maturità. Tuttavia, le quantità disponibili nel frutto sono del tutto irrisorie ai fini nutrizionali e farmacologici. L’uso del lampone non solo come fonte estrattiva ma anche come contributo alla dieta non può neppure essere preso in considerazione: per ottenere i 100 mg delle dosi vendute del composto servirebbe ingerire ogni giorno circa 40 kg di frutti (di cui circa 4 sarebbero zuccheri). Per le versioni d’urto, che arrivano a 1000mg, fate voi i calcoli. Malgrado si incontri spesso la dicitura “estratto puro di lampone”, il raspberry ketone inserito negli integratori alimentari non è estratto da frutti bensì ottenuto totalmente per via sintetica o a massimo per biotrasformazione usando microrganismi o sistemi biocatalitici, nè più ne meno che un qualunque altro farmaco “di sintesi”1-s2.0-S0024320505001281-gr1

Quanto pesa la storia? Un ulteriore elemento da considerare nella valutazione di questi prodotti è la loro storia. La presenza di una pianta nella tradizione medica passata non è affatto una garanzia di efficacia certa, ma la sua completa assenza è per certo segnale di forti lacune nel suo studio, con tutti i peccati e i limiti degli eccessi di gioventù. Nel caso di Rhodiola rosea citato in precedenza, l’uso tradizionale ne ha determinato l’interesse di decine di ricercatori per diversi decenni e l’insieme di dati a disposizione del mondo medico è ampio. Lo stesso uso tradizionale ha permesso di avere un’idea dei possibili dosaggi, delle quantità che si possono assumere senza effetti collaterali e così via. C’è carne con cui fare l’arrosto per decidere se la ricetta è buona e degna per gli ospiti, insomma. Nel caso del raspberry ketone invece è tutto il contrario: questo è apparso sulla scena scientifica come possibile agente termogenico solo nel 2004 e dopo pochi mesi è passato direttamente -e senza passare dal via- alle ribalte televisive e al pressante tam-tam commerciale.

Le parole sono importanti, ma anche le molecole. Il razionale di impiego di questo composto è spesso presentato per traslazione, usando una specie di sillogismo secondo il quale chimica, fisiologia e farmacologia dovrebbero dipendere dalla proprietà transitiva. Il raspberry ketone vanta una struttura molecolare simile a quella della sinefrina, uno pseudoalcaloide presente nelle arance amare e dotato di una leggera azione anoressizzante. L’uso dimagrante della sinefrina a sua volta deriva da quello dell’efedrina, un composto anch’esso simile strutturalmente e per certo altamente snellente, ma anche in grado di causare gravi danni alla salute ai medesimi dosaggi, come le anfetamine che a sua volta richiama. Senza scendere nei tecnicismi legati alla sostituzione di un azoto con un ossigeno e alla scomparsa di un ossidrile, la semplice similitudine strutturale non implica infatti il possesso delle stesse proprietà (sia nel bene che nel male): esistono zuccheri con strutture molecolari praticamente identiche eppure dotati di sapore assai diverso (amaro o dolce) e piccolissime modifiche possono rendere una molecola benefica o terribilmente tossica. La logica secondo la quale il raspberry ketone sarebbe efficace in quanto simile alla sinefrina è sbagliata: le somiglianze strutturali possono essere indizi da cui partire con ipotesi sperimentali e non giustificazioni di efficacia, per le quali sono necessarie evidenze dirette e specifiche. Per dire se il 4-(p-idrossifenil) butan-2-one è dimagrante occorrono studi mirati in condizioni controllate e monitorate, possibilmente sull’uomo e possibilmente in soggetti in leggero sovrappeso.

0007524100E-565x849Le molecole sono importanti, ma anche i numeri. Per quantificare, mentre nel solo 2013 Rhodiola rosea è stata oggetto di 563 ricerche destinate a valutare i suoi effetti sulla salute di uomini o animali, il raspberry ketone può vantare sulle sue proprietà solamente 5 lavori in tutto dal 2005 ad oggi, usati ripetutamente verso i consumatori come prova della sua efficacia.

Esiste uno studio in cui questa molecola è stata somministrata ad esseri umani, ma non aiuta a capire: ai pazienti è stata somministrata una miscela di 6 tra sostanze e piante in polvere e non è possibile dedurre il contributo effettivo del raspberry ketone agli effetti riscontrati. Al massimo si può dire se il prodotto nella sua interezza ha o meno qualche effetto. Altri due studi hanno utilizzato sistemi in vitro, ovvero con somministrazione del raspberry ketone a diverse concentrazioni arbitrarie in cellule isolate e la misurazione di alcuni parametri biochimici legati all’accumulo di grasso. L’uso della parola “arbitrario” va spiegato, perché è la chiave per capire i limiti di tutti gli studi di questo tipo: l’obiettivo dei ricercatori è verificare a quali dosi si registra un’attività certa, ma questo avviene a prescindere dalla coerenza con la fisiologia umana, per la quale le quantità usate potrebbero essere assolutamente inverosimili. Nel caso specifico -ma il ragionamento vale per quasi tutti gli studi in vitro– non abbiamo la più pallida idea di quale sia la concenrazione di raspberry ketone nel sangue umano dopo la somministrazione di qualsivoglia dosaggio. Non lo sappiamo perché nessuno ha mai fatto neppure una prova. Tentando un’approssimazione generosa in base a dati su molecole simili, la concentrazione usata in questi studii è almeno 100 volte più elevata di quella probabile. Non sappiamo nè se è raggiungibile nell’uomo nè, qualora lo fosse, se comporta effetti collaterali. Non sappiamo neppure come venga metabolizzato il chetone di lampone nell’uomo nè se può avere un effetto tossico di qualche tipo a breve o a lungo termine, perché nessuno l’ha mai studiato e nessun dato ci può venire in aiuto dall’uso tradizionale. Senza nessuna valutazione pregressa di tipo storico e di tipo contemporaneo, questo composto è venduto come integratore alimentare per il semplice motivo che se ne conosce la presenza in tracce nel frutto del lampone e in qualche altra bacca rossa.

Il lavoro più spesso citato a supporto consiste in uno studio su animali nutriti con una dieta fissa basata sul 40% di grasso bovino (che non riproduce certo la realtà di una dieta normale) e addizionata con quantità di 1- 2% di raspberry ketone. Considerando che una dieta normale nell’uomo prevede l’ingestione giornaliera di circa 1,2 kg di cibo solido e facendo leva sui parametri allometrici che consentono di convertire i parametri dal topo all’uomo, un uomo adulto di 70 kg di peso dovrebbe teoricamente ingerire almeno 36 grammi di questa sostanza purificata al dì per 10 settimane (con una dieta costituita da almeno 300 g di grasso animale) per riprodurre le medesime condizioni sperimentali. L’obiettivo dei ricercatori che hanno condotto questo studio era verificare quali dosi di chetone di lampone fornivano un risultato evidente, per cui hanno scelto una situazione estrema per dieta e dosi, senza valutarne l’equivalenza nell’uomo. Sempre perché i numeri hanno un peso e dato che questo peso è da valutare in un contesto, ho fatto altri due conti osservando i risultati ottenuti e il costo del raspberry ketone sul internet. I topi, innanzitutto, non sono dimagriti durante il trattamento e non hanno mantenuto il peso, ma sono solo ingrassati di meno. Dopo 10 settimane di cura quelli che hanno seguito la dieta all’ingrasso addizionata di chetone di lampone pesavano 50g, mentre quelli che non l’hanno assunto ne pesavano 55. I topolini con una dieta normale pesavano 45 g. Sempre ammettendo i limiti della conversione animale-uomo e azzardando un paradosso, i 36 grammi al giorno di chetone di lampone (dosaggio per il quale non sappiamo assolutamente nulla in termini di effetti tossici) potrebbero permettere un mancato aumento di peso del 10% circa. Ho visto online prezzi sui 30 euro al grammo, farebbero 1000 euro al giorno. Un ultimo lavoro ha usato i medesimi dosaggi e una dieta meno aggressiva, per monitorare gli effetti a difesa del fegato. Valgono le stesse considerazioni.

In altre parole, come concluso da chi ha riassunto le poche ricerche effettivamente fatte su questa sostanza in tema di salute e dimagrimento, non sono disponibili informazioni attendibili sull’efficacia del raspberry ketone nell’uomo e gli studi fatti sugli animali, pur dando qualche indicazione vagamente promettente, non rispecchiano situazioni realistiche. Chi cantava don’t believe the hype teneva una sveglia al collo, l’ho già scritto?

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