Il tuo depuratore è molto ficus. Ed il design è spaziale!

Il criterio con cui scelgo gli argomenti per i post è assolutamente euristico, abbastanza banale ma cervellotico al punto che -secondo alcuni bonari detrattori- risulta ai limiti del borderline per la sindrome di Asperger. Una cospicua quantità di fonti viene dragata con una buona dose di compulsione e poi classificata, più o meno taggata ed organizzata giornalmente secondo criteri rigorosamente istintivi ed umorali, sino ad ottenere un ipertrofico archivio borgesiano di spunti in espansione entropica. Quando due, meglio tre ispirazioni eidetiche si ritrovano collegate da un filo più o meno immaginario, allora si chiude il circuito, si accende la lampadina e si mette in moto la macchina creativa.

spaxE così oggi quando ho letto questo su Sciencedaily mi sono venuti in mente questo libro e soprattutto l’origine di tutto, ovvero questo articolo del 1984. Alla diga hanno aperto le 410 chiuse esagonali e buonanotte. In pieno edonismo reganiano la NASA lavorava ancora alacremente alla conquista dello spazio e cercava ogni soluzione possibile per rendere più agevole la vita degli astronauti, in previsione di lunghe permanenze nello spazio più o meno profondo. C’era il predominio spaziale da difendere e quanto a record di permanenza siderale per gli americani buttava male: la Skylab (che dalle mie parti era una discoteca altrettanto infrequentabile) era già andata da qualche anno a ramengo, sbriciolata sui cieli d’Australia. Non ho notizie delle agevolazioni di comfort previste per i cosmonauti delle più longeve e spartane мир e Салют, ma le rogne della vita nei cubicoli orbitanti erano le stesse. Una, in genere non considerata quanto l’assenza di gravità ed il cibo liofilizzato, è la questione dell’aria. La cubatura limitata e la manifattura quasi completamente plastica degli angusti abitacoli spaziali determinavano un’elevata concentrazione di COV nocivi, ovvero di composti organici volatili come la formaldeide, il benzene o il tricloroetilene emessi da colle, vernici, tubi, giunzioni. Ne furono misurati oltre 100 durante una delle ultime misioni dello Skylab. Un problema serio, se non si possono aprire le finestre.

I COV sono sostanze che non stanno nè mai sono state solo nello spazio di una navicella ma si trovano anche nelle case, nelle roulottes, nei prefabbricati e negli uffici di mezzo mondo, dato che sono state e -seppur meno- sono tuttora emesse anche dai comuni mobili, soprattutto dagli impiallicciati. Tra quelli sintetici e quelli naturali nell’aria di una casa ce ne possono essere sino a 900 diversi per struttura chimica ed ovviamente per nocività, spesso associata ai fenomeni asmatici. A seguito di esposizione cronica molti di essi possono dare noie più o meno serie a soggetti ipersensibili e non, al punto che esiste un nome specifico per indicare l’insieme dei sintomi determinati: sick building syndrome, una condizione più frequente nelle abitazioni anche nelle automobili nuove. Principale imputata la formaldeide, che è buonatabfor per conservare tessuti e campioni biologici, ma solo da morti. Uno dei resoconti più completi sulle relazioni tra tipologie di COV, esposizione e salute è il Thade Report emesso dall’EFA nel 2001 ed è disponibile in pdf.

I nostri amici della NASA per affrontare il problema avevano creato un’equipe chiamata NASA Clean Air Study e si erano messi a misurare quanti e quali solventi volatili potevano essere assorbiti dalle piante ornamentali da vaso poste in un contenitore sigillato. Già i vegetali aiutano ad assorbire la CO2 emettendo prezioso ossigeno, perchè non vedere se anche altri gas vengono captati? E le piante in effetti ci danno dentro, rimuovendo tra 1,3 ed 1,8 mg di formaldeide/ora, fino a 0.6 mg di xylene/ora in camere sigillate da un metro cubo, con performances variabili riassunte ad esempio nella tabella sulla formaldeide qui a lato (tratta da questo articolo). E l’efficienza aveva trovato conferme anche su scala più ampia, che alla NASA si traduceva negli esperimenti condotti nella BioHome, la casa sperimentale costruita apposta per misurare “in vivo” vari tipi di fitorimediazione, tra cui quanti e quali COV potevano essere assorbiti dalle piante da interni. Ma come diavolo fanno? Le opzioni sono svariate e sono state accumulate nei decenni successivi da ricercatori non solo vicini alla NASA. Si va dal semplice adsorbimento sulla superficie fogliare all’assorbimento per via stomatica fino alla degradazione mediata dai batteri presenti nel terriccio dei vasi, stimolati e coccolati dall’apparato radicale. Nel caso dell’adsorbimento il contributo deriverebbe dalla cuticola, lo strato lipofilo di cere che impermeabilizza l’epodermide fogliare. I COV sono tutti lipofili e si avrebbe nè più ne meno che un enfleurage. thNel caso della rizosfera i composti volatili verrebbero metabolizzati dai microrganismi, che li userebbero come fonte di carbonio. Pare che tutti e tre i meccanismi siano attivi contemporaneamente ma con un contributo diverso in funzione del ritmo circadiano: di notte l’assorbimento stomatico è praticamente inattivo, ad esempio. Il grosso del lavoro, stando alle sperimentazioni anche oltre l’80%, lo fanno in realtà i microrganismi del suolo e tutto si gioca sulla relazione tra la pianta e le bestiole che ospita nel terriccio circostante le radici, come hanno confermato due articoli più recenti.

Nell’articolo di Economic Botany del 1984 citato sopra viene descritta la performance di tre specie (Chlorophytum elatum, Syngonium podophyllum e Scindapsus aureus, che per la sciùra sarebbe il Pòtos) nei confronti della formaldeide. Tra i filtri più attivi ci sono però la felce di Boston o Nephrolepis exaltata e Fatsia japonica, quest’ultima capace di ridurre dell’80% la formaldeide atmosferica in sole 4 ore. Per quanto riguarda altre sostanze come i VOC aromatici benzene e toluene, buoni risultati si hanno con Pelargonium domesticum, Ficus elastica, Chlorophytum comosum, Aglaonema brevispathum, Pachira aquatica, e Ficus benjamina. In quasi tutti i casi citati il contributo dell’assorbimento è significativo, nel senso che il limite di 0,3 mg di VOC totali, scelto ad esempio dalla normativa tedesca, può essere raggiunto in poche ore.

La space race ha poi avuto anche altre conseguenze inattese anche in altri settori. Il pacchetto di norme sulla sicurezza alimentare che fa capo all’HACCP indovinate da dove è saltato fuori? Da qualcuno che non poteva permettersi un’intossicazione alimentare orbitale.