Ho scritto un libro sulla biomimetica

E’ l’ora più bella”, dice Marco ogni volta che osserva un tramonto. Come lui sono sensibile all’atmosfera sospesa delle ultime sere estive, che inspiro a pieni polmoni per ossigenare il cervello. Qui, sul bagnasciuga dei bar di provincia, il rumore di fondo dello stress non annebbia ancora i neuroni col suo infido cortisolo. L’oasi del tavolino assicura un approdo fidato di palme e bicchieri e mentre in altri mesi accoglie ecumenicamente affanni, ruggini, profughi sentimentali e ordinarie amministrazioni, a settembre lubrifica un sincero interesse per la conversazione, che supera il tempo tra un tappo e un fondo di bottiglia.

  • Chi si rivede! Come va col lavoro nella metropoli tentacolare? Sarà almeno un anno che hai preso servizio in quell’agenzia di cacciatori di teste. Perché è una roba del genere, no? Siediti!

Marco ha l’aria rilassata, ha salutato l’ultimo gruppo di turisti cui ha fatto da guida e si è spalmato sulla sua sedia preferita, quella rivolta verso lo scampolo di tramonto che filtra tra i palazzi. Sta facendo una sigaretta, senza bisogno di guardarsi le mani che frullano esperte.

  • Bene, non mi lamento. Ogni tanto un po’ stressante, ma più spesso divertente. In questi mesi ne ho viste e sentite di tutti i colori e mi hanno fatto girare mezzo mondo.
  • Ma cos’è che fai di preciso?Intervisto piante per conto terzi, converso con loro come faccio con te, in cerca di idee spendibili per startup, aziende, inventori, ricercatori. Fornisco punti di partenza per nuove tecnologie, per chi vuole innovare ispirandosi alla natura. Biomimetica o design inspirato alla biologia, lo chiamano.

Il fatto che io possa parlare con le piante non lo scompone. Da quel tavolino son passati racconti più strani.

  • E cosa vogliono sapere? Nel senso, perché chiedere alle piante uno spunto innovativo quando sei un inventore, o quando hai già un laboratorio pieno di gente che ha studiato, magari esperta del proprio lavoro?

A quel punto mi spiaggio anch’io nell’oasi, appoggio un plico blu e arancione sul tavolino e ordino da bere. Tanto ho capito che Marco è da solo e deve fare serata; posso dilungarmi senza dar troppa noia.

  • La biomimetica si occupa di progettare e produrre materiali, oggetti, sistemi e strategie imitando e rielaborando processi naturali. Visto che sei un mago dei fornelli, te la spiego così. Tu conosci il valore di un buon libro di ricette. Per il principiante è la guida essenziale alla sopravvivenza di fronte a un ingrediente o a un piatto nuovo, per l’esperto è invece il canovaccio su cui fare le acrobazie in cerca di innovazione: se qualcuno ha già fatto una ricetta simile significa che viene, che è mangiabile e che da lì puoi partire con fiducia per fare di meglio. Negli ultimi anni parecchi esperti si sono messi a sfogliare il regno vegetale come se fosse l’Artusi. Soprattutto ingegneri di ogni categoria, architetti, chimici ma anche responsabili marketing, economisti, agronomi, esperti di robotica e designers. Siccome in genere di biologia e di botanica non ne sanno una mazza, hanno bisogno del traduttore. Ovvero del sottoscritto.
  • In alcuni casi una singola categoria di piante può offrire un intero capitolo di ricette, buone per un bel ventaglio di creativi e ingegneri. Un ”banale” cactus, ad esempio, presenta adattamenti che se ben studiati e compresi diventano prototipi per materiali traspiranti o impermeabili, oppure capaci di catturare l’acqua atmosferica e irrigare serre, per disegnare edifici con un migliore interscambio energetico con l’ambiente, per separare acqua e olio e persino per conservare vaccini fuori dal frigo. Copiando e rielaborando il sistema con cui i cactus trattengono e rilasciano lentamente acqua, sono già apparsi in commercio prodotti che agevolano l’irrigazione di piante in vaso, da usare quando si va in ferie.Marco si accende la sigaretta mentre il cameriere porta le ordinazioni e se possibile si piazza ancora più comodo, stendendo le gambe sotto al tavolo, con indolenza navigata. Ha sempre fatto andare più in fretta il cervello delle gambe.
  • Ti vedo bene, nel ruolo del mediatore. Ma intendi dire che le aziende copiano paro paro? Non funzionava neanche al liceo con le versioni di greco e di latino, che andavano sempre modificate qua e là per non farsi scoprire, figuriamoci per fare un prodotto non solo efficace ma anche commerciabile. Sarà mica una roba olistica new-age?
  • No, copiare non ha senso. In natura le soluzioni si sono evolute per permettere alle specie di sopravvivere e questo non significa che siano perfette per l’uomo, anzi. Forniscono spunti di partenza, idee da rielaborare, ricette da trasformare partendo però da una base più che certa, per questo parlavo di libri di cucina. Spesso, nella loro storia come specie, i viventi hanno dovuto e devono affrontare problemi simili a quelli su cui inciampiamo noi e spesso i loro adattamenti, le loro ricette, sono un buon soffritto per le nostre esigenze. Recuperare, conservare e purificare acqua, creare economie circolari, convincere animali a fare certe cose anzichè altre, dare nuovo uso agli scarti, sostenere pesi enormi con minimo dispendio di materiali, non sporcarsi con la polvere, galleggiare, sopravvivere da disidratati, incollarsi a sostegni, conservarsi senza marcire. Tutte cose che, nonostante la tecnologia e la specializzazione dei vari settori industriali, noi facciamo in modo più artigianale e meno efficiente delle piante. In più, le soluzioni dei vegetali sono più sostenibili delle nostre, si integrano meglio con gli standard di sostenibilità e di efficienza di cui ora abbiamo un bisogno quasi disperato. Quello che faccio è pescare un concetto, un modello in funzione delle richieste che mi fanno. Ad esempio, se un chirurgo vuole un adesivo per incollare parti di un tessuto, che so, due pezzi di fegato, io vado a vedere come in natura si sono evoluti sistemi adesivi chiedendo all’edera come fa ad essere così avvinta a muri e tronchi. Poi, come si dice, da cosa nasce cosa e le applicazioni reali possono diventare molto lontane da quelle iniziali: di certo l’edera non si incolla al muro per far piacere ai chirurghi.

Prendo fiato e carburo ugola e pensieri attaccando il mio drink, mentre Marco medita su quel che ho detto.

  • E questa cosa di copiare -scusa, di ispirarsi- alla natura e alle piante è effettivamente così innovativa? Non mi pare che sia proprio una scoperta di questi anni. Potrei sbagliare, ma credo che l’uomo abbia iniziato a farsi ispirare da quello che vedeva attorno a sè dai tempi di Adamo ed Eva. Per dire, Leonardo da Vinci alla fine cosa faceva? Una roba molto simile alla tua, si guardava intorno e con gli strumenti dell’epoca provava a ripetere i meccanismi che intuiva.
  • Infatti, non è una novità il cosa, ma il come. Di nuovo c’è anche il fatto che questo modo di fare innovazione ha un nome, riceve investimenti mirati e nascono istituti di ricerca come quello in cui lavoro, esclusivamete dedicati alla biomimetica. Prima di tutto questo le cose si facevano lo stesso e sono molti gli oggetti comuni, più o meno nobili, nati prendendo ispirazione da una ricetta vegetale. Il filo spinato è nato alla fine del 1800 imitando le spine di una pianta nordamericana, Maclura pomifera, che impedisce agli animali di pascolare nei suoi cespugli. Le versioni più evolute dei paracadute stabilizzati devono l’idea di partenza al pappo di Tragopogon pratensis, che è simile a quello del tarassaco: osservandone il volo un inglese ha intuito come evitare che i paracadute si capovolgessero in volo. Si dice che l’inventore del cemento armato, un vivaista francese stanco di vasi rotti, abbia registrato il suo primo brevetto guardando come era fatto un pezzo di fico d’india secco. Tuo papà prende ancora le statine per abbassare il colesterolo? Come altri farmaci di derivazione naturale le statine nascono modificando molecole che in natura svolgono un compito simile, nello specifico inibire la sintesi di un mattone delle cellule dei funghi, la cui struttura è simile a quella del colesterolo. Ecco, il mio lavoro è quello di andare a spigolare queste cose nei campi, nei boschi e persino nei deserti del mondo per capire a chi possono essere utili.

Marco, che è un tipo pigro ma sveglio, mette presto insieme i pezzi del mio parlare con quelli delle sue conoscenze professionali.

  • I tuoi racconti mi riportano a un quadro che ho dovuto presentare a una comitiva, “Orione cieco alla ricerca del sole nascente” di Poussin. La metafora dell’aiutante Cedalione sulle spalle del gigante accecato che vuole conoscere in anticipo il sorgere del sole per riacquistare la vista è diventata, da Bernardo di Chartes fino a Isaac Newton quella dell’uomo che dall’alto della sua nanitudine ha bisogno di salire in groppa a figure di eccezionale statura morale o d’ingegno per prevedere il futuro. “Se ho visto oltre, è stato perchè sono salito sulle spalle dei giganti”, ovvero degli altri scienziati che mi hanno preceduto, scriveva Newton. Per la biomimetica quindi i giganti a cui salire in groppa per progettare le future tecnologie sarebbero la natura e l’evoluzione, giusto?
  • Più che giusto: la natura come montagna di adattamenti, soluzioni e dinamiche che sarebbe presuntuoso trascurare, visto che da quasi 4 milioni di anni ha messo in piedi una specie di laboratorio permanente per risolvere gli stessi problemi che ci riguardano come specie.
  • E perché allora questa biomimetica è così trendy proprio adesso? Immagino ci sia anche una questione di contingenza, nel senso che molte aziende la vorranno usare per apparire più vicine ai problemi di ambiente e sostenibilità.
  • In parte. La biomimetica degli ultimi anni è diversa da quella del passato più che altro per motivi tecnologici. Ad esempio, se un tempo potevamo ispirarci solo a ciò che vedevamo ad occhio nudo o con un microscopio, ora possiamo osservare gli adattamenti delle piante su nanoscala o addirittura a livello molecolare. Insomma, la tecnologia ci ha aperto la possibilità di vedere e quindi capire e imitare cose nuove. Analogamente ora possiamo riprodurre gli oggetti nanoscopici, anche con costi commercialmente sostenibili. Ad esempio, per ripredere l’esempio di prima, solo ora possiamo replicare il sistema adesivo dell’edera per incollare tessuti viventi e gel o riprodurre altri suggerimenti analoghi, anche con le stampanti 3D. E quello che vale per il molto piccolo vale anche per il molto grande, per la valutazione di enormi molti di dati, un tempo ingestibili, per tirare fuori algoritmi che prima ci sfuggivano. Un altro motivo del successo è nel cloud, anche se so che sei poco amico dell’informatica. Fino a qualche decennio fa il biologo parlava coi biologi e i risultati delle sue ricerche restavano in quel cortile. Analogamente quelle degli ingegneri giravano solo nella conventicola degli ingegneri. Ma ora che è tutto online gli articoli dei primi possono più facilmente finire sotto gli occhi dei secondi e viceversa, fertilizzando il momento eureka.

Ci fermiamo un attimo per bere e per assorbire gli ultimi scampoli di tramonto e intuisco dal suo ghigno che ha notato l’oggetto che ho appoggiato poco fa sul tavolo, il convitato di pietra. Anzi, di carta.

  • E cosa sarebbe quello? C’è scritto il tuo nome, si direbbe che è un libro.
  • Si, ho messo assieme le storie più interessanti di quest’anno di lavoro, mescolando quelle che hanno portato ai risultati migliori e quelle che spiegano meglio le potenzialità del mio lavoro, quelle in cui mi sono divertito di più e quelle impossibili da raccontare qui al bar.
  • Interessante. Immagino che nel libro ci siano diverse storie strampalate e un sacco di esempi imprevedibili, ma dimmi: se mi dovessi riassumere in una parola sola cosa dovremmo imparare dalle piante, che parola useresti?
  • Eleganza. Non è una parola semplice, anche se come molte altre è data per scontata. E’ elegante qualcosa di non ostentato, privo di elementi artefatti, barocchi, inutili, non essenziali allo scopo. La prima cosa che dovremmo imparare, più che le vernici idrorepellenti o gli adesivi ispirati a edera, cozze e gechi è che le piante e la natura in genere non sprecano mai energie, usano una sola soluzione per affrontare più problemi ed evitano come la peste le soluzioni definitive.
  • Insomma, la natura ripudia il poshlost e abbraccia il minimalismo.
  • Non proprio. Buona la prima, non la seconda. Le piante sono bestie complicate e i loro adattamenti, anche quelli che interessano la biomimetica, sono estremamente complessi. Ma nello svolgere le loro funzioni non si consuma una briciola di energia per elementi non fondamentali, il macinare dell’evoluzione progressivamente leviga via tutto ciò che non serve. E’ anche per questo che le aziende sono interessate a studiare i sistemi, grandi e piccoli, della natura: limare gli sprechi nei processi, trovare soluzioni più sostenibili, riciclare ogni materiale utile, ma soprattutto risparmiare il costo di ricerca e sviluppo partendo da basi consolidate, che già funzionano e necessitano solo di essere sintonizzate alle esigenze umane. In questo la natura è fenomenale e non supera gli ostacoli aumentando gli investimenti, un sistema che noi non abbiamo mai capito molto bene. Infatti siamo molto poshlost, come specie

Il mio interlocutore ha ormai finito il drink e riprende ad armeggiare con cartine e tabacco, rigorosamente senza guardarsi le mani. Guarda invece il libro.

  • E per raccontare queste cose un po’ complicate tu a cosa ti sei ispirato? Sia come principante che come esperto avrai avuto bisogno del tuo personale libro di ricette per scrivere un libro.
  • Diciamo che ho cercato di mettere il timone sulla rotta che prevede “l’utile per iscopo, il vero per soggetto, l’interessante per mezzo”, come diceva Manzoni.
  • Bravo, vedo che anche a te è rimasto in testa qualcosa dalla prima ginnasio. Questa copia del libro me la regali, vero?