Due o tre cose sull’olio di palma

Si racconta che in certi periodi dell’anno le piantagioni di palma da olio siano infrequentabili, perchè i serpenti in muta amano scartavetrarsi la vecchia pelle sui fusti abrasivi di Elaeis oleifera ed E. guineenesis. E non è detto che siano sempre lieti di incontrare un umano (e viceversa). Anche a parlare di olio di palma c’è sempre il rischio di mettere piede su una mina, dato che il ResearchBlogging.orgconfine tra l’informazione completa e quella distorta è elastico come un panno bagnato e gli animi sono spesso tesi. Le opinioni su questo alimento sono infatti polarizzate tra detrattori che giustamente puntano il dito sui danni causati ai tropici dalla sua massiccia produzione e chi ne sostiene l’enorme diffusione, facilitata da un rapporto resa/costo quasi imbattibile e da alcune doti tecnologiche particolari che lo rendono assai appetito dalle industrie alimentari grandi e piccole. Nella querelle finiscono inevitabilmente anche gli aspetti salutistici ed uno dei terreni di battaglia -modelli di sviluppo e concetto di progresso a parte- è quello del benessere: l’olio di palma fa male e va boicottato in ogni forma, anzi no; l’olio di palma è come tutti gli oli vegetali, anzi no. Le risposte a questi dubbi dipendono in realtà da cosa si intende per olio di palma, perché un conto è quello che esce dalla pianta ed un altro è quello che entra negli alimenti, almeno dalle nostre parti. Persino l’interpretazione degli studi scientifici sull’olio di palma può trarre in inganno a causa di questa ambiguità e per capire come sia declinato questo alimento è utile innanzitutto una piccola premessa.

Le due anime degli oli vegetali. Gli oli vegetali sono composti in origine da due frazioni, una largamente abbondante formata da trigliceridi (esteri tra glicerolo e vari acidi grassi) ed una minoritaria (1-3%) detta frazione insaponificabile. Quest’ultima è composta da una miscela eterogenea di sostanze diverse tra loro (fitosteroli, carotenoidi, fenoli, triterpeni, vitamina E, lignani) che possono differire tra olio ed olio e conferire un ruolo importante per l’uso alimentare e per il contributo nutrizionale. Possono ad esempio proteggere l’olio da un’eccessiva ossidazione durante la cottura, oppure contribuire al suo valore apportando alla dieta sostanze potenzialmente utili come vitamine ed antiossidanti. L’esempio più immediato è l’olio d’oliva, che deve la sua gloria alimentare non solo all’abbondanza di acido oleico nei trigliceridi ma anche ad un insaponificabile particolarmente ricco, dovuto allo strascico di composti polari garantito da un sistema di produzione grossolano come la spremitura. Olio d’oliva e di palma hanno alcune caratteristiche in comune, come la tecnica di produzione per spremitura, l’abbondanza di acido oleico ed un insaponificabile caratteristico, in grado di influenzare il valore nutrizionale. Se nel caso dell’olivo questa ultima dote è enfatizzata ed il più possibile conservata lungo la filiera produttiva, nella palma l’insaponificabile viene invece sacrificato durante la produzione industriale e mentre il primo è orgogliosamente promosso per la sua “integralità”, il secondo è sottoposto ad una lunga serie di traformazioni e manipolazioni. Ogni operazione come vedremo ha un senso, ma genera prodotti tra loro diversi che portano a dover distinguere tra differenti tipologie di olio di palma, ognuna con proprie caratteristiche, benefici e letteratura scientifica di riferimento.

Dall’extravergine di palma all’oleina. Sulle bancarelle improvvisate dei mercati africani, a margine delle strade e nei villaggi, è frequente notare bottiglie di plastica piene di liquido rosso rubino. Sembra benzina, ma non lo è: si tratta di olio di palma integrale, ottenuto per spremitura diretta dei frutti di Elaeis guineensis. Se confrontato con l’olio di palma disponibile sul mercato europeo, che è giallo paglierino, la differenza cromatica è evidente. Anche senza scendere in Africa è possibile rendersene conto entrando in un qualunque negozio di prodotti etnici, dove ogni tanto questo “extravergine di palma” si trova. La diversità del colore sottende una serie di differenze chimiche, nutrizionali e di processo che possono cambiare parecchie carte in tavola nel comportamento dell’olio e nelle sue proprietà: l’olio di palma raffinato è un prodotto diverso dall’olio “extravergine”  forse più di quanto non differiscano un olio d’oliva ed un extravergine d’oliva.

Come l’olio d’oliva quello di palma ha un problema manifatturiero preciso: si estrae da frutti con tessuti molli, freschi e vitali, nei quali al momento della raccolta si attivano una serie di enzimi degradativi. Particolarmente deleteria per la qualità del prodotto finito è l’azione delle lipasi che rompono i trigliceridi liberando acidi grassi isolati e conferiscono all’olio un sapore sgradevole e delle esterasi, che degradano le pectine producendo alchil esteri, quegli stessi composti monitorati per riconoscere le contraffazioni dell’extravergine d’oliva. Se prodotto senza adeguate cautele e procedure, il prodotto finale risulta meno palatabile, meno nutriente, meno salutare e soprattutto meno conservabile e più forte all’aroma, tutti fattori che affliggono l’olio di palma prodotto con metodi “tradizionali” più o meno arcaici. L’olio di palma non raffinato e mal prodotto può ad esempio presentare un’alta acidità ed essere quasi rancido al gusto, come un olio di sansa o un olio lampante d’oliva di scarsa qualità e può essere assai più prono all’ossidazione, un fattore che le evidenze attuali indicano come il principale responsabile degli effetti negativi causati dagli oli sulla salute umana. Negli oli ottenuti da semi oleaginosi questo problema è quasi assente, perchè lo stato disidratato dei semi inibisce automaticamente l’azione enzimatica. Per ovviare a questo limite e soprattutto se il prodotto finale è destinato ad essere consumato dopo settimane o mesi è opportuno sottoporre la materia prima ad una stabilizzazione a priori o rettificare l’olio dopo la spremitura, per rimuovere le sostanze sgradite. Pertanto l’olio di palma da esportazione ottenuto per spremitura dei frutti di Elaeis viene sottoposto a diversi passaggi di raffinazione che prevedono l’eliminazione della parte gommosa (che causerebbe la produzione di schiuma durante la frittura, ad esempio), lo sbiancamento per abbattere la colorazione (non gradita dai consumatori occidentali per le alterazioni al colore del prodotto finito) ed atri passaggi con vapore, incluso uno step di deodorizzazione che elimina le sostanze maleodoranti sopracitate. Questi passaggi possono essere di tipo fisico o chimico, come riassunto nel diagramma di flusso qui a lato. Il risultato finale è in ambo i casi un olio colore giallo dorato, non diverso nell’aspetto da un olio di girasole o di semi. Tutte queste manipolazioni  implicano tuttavia due conseguenze, una positiva e l’altro meno: si eliminano le sostanze ossidate e degradate, ottenendo un alimento meno nocivo e più gradevole ma si perdono quasi completamente i cosiddetti componenti insaponificabili (carotenoidi, vitamina E, fitosteroli e compagnia) che nel caso della palma sono alquanto caratteristici. L’olio integrale di palma infatti contiene circa 5-700 mg/kg di carotenoidi (tra cui 400 mg/kg di beta-carotene) e 600-1000 mg/kg di tocoferoli e tocotrienoli (Vitamina E). Anche i fitosteroli sono persi in questo passaggio, ma il loro contenuto nell’olio di palma non è rilevante come in altri oli alimentari di ampio consumo (10-20 volte meno che in oliva, soia, mais). In particolare, i precursori della vitamina A sono 15 volte più abbontanti nell’olio di palma non raffinato rispetto alle carote e 100 volte più che nel pomodoro (il licopene, principale carotenoide del pomodoro non è però un precursore della vitamina A). In sintesi, la raffinazione previene alcuni seri difetti ma preclude alcuni possibili vantaggi.

L’olio di palma così rettificato presenta poi un considerevole benefit tecnologico, ovvero può essere facilmente frazionato ottenendo un prodotto più solido e ricco di acidi saturi -prevalentemente palmitico- ed una frazione liquida formata soprattutto da acido oleico. Spesso è il medesimo olio grezzo a separarsi in queste due frazioni, direttamente nella bottiglia in cui è confezionato. La frazione solida rappresenta un ideale sostituto delle margarine ad esempio nei prodotti da forno, con il vantaggio nutrizionale di non possedere grassi trans, veri e riconosciuti colpevoli di disastri cardiocircolatori alla salute. La seconda frazione è invece ideale per la frittura. Entrambe godono di un fattore assai pesante a loro favore: costano pochissimo rispetto ad altri grassi alimentari più pregiati. Valore di mercato a parte, quello che ci interessa ora è come queste lavorazioni portino in commercio -e nei laboratori dei ricercatori- diverse categorie di prodotti oleari, tutti ottenuti dai frutti di E. oleifera ed E. guineensis: l’olio di palma “extravergine” (o red palm oil) ricco in insaponificabile, l’olio di palma raffinato e deodorizzato privo di insaponificabile, la frazione liquida ricca in acido oleico e quella solida ricca in acido palmitico entrambe prive di insaponificabile. Quando si parla e si scrive “olio di palma” spesso si omette di specificare con chiarezza di cosa si parla e questo crea confusione.

Con un occhio alle vitamine. Per capire la differenza tra l’extravergine di palma e le altre tipologie citate, può essere utile un esempio pratico. La particolarità dell’insaponificabile dell’olio di palma crea infatti una nicchia di impiego specifica nell’integrazione alimentare di alcune categorie a rischio. In molti paesi africani ed asiatici in cui l’olio di palma è coltivato persiste il problema della carenza da vitamina A nei bambini, causato da limiti nella dieta.  L’olio di palma integrale non raffinato può offrire a riguardo un vantaggio nutrizionale in più rispetto ad altri derivati, in quanto rappresenta un’eccellente fonte di precursori della vitamina A a costi assai ridotti ed a partire da un alimento già disponibile in zona. Vari studi svolti sotto l’egida delle Nazioni Unite in diversi paesi concordano nel suggerirlo come supplemento dal miglior rapporto costo/beneficio per la supplementazione alimentare in caso di carenza da vitamina A. Nel latte materno la supplementazione con olio di palma rosso raddoppia ad esempio  la disponibilità di precursori della vitamina A così come nel sangue dei bambini trattati. Gli esiti della sua supplementazione sono sì meno intensi della somministrazione di compresse di beta-carotene ma il suo impiego risulta più economico e sostenibile, anche in termini di compliance sul lungo termine.  I costi dell’integrazione alimentare con l’olio rosso di palma risultano circa dieci volte inferiori al beta carotene puro per bambino trattato e cento volte inferiori rispetto all’uso di succo di carote e ai vegetali in foglia, nei quali solo il 50% del carotene presente viene assorbito. Circa l’80% del beta carotene peraltro sopravvive alla cottura, il che ne consente anche l’incorporazione in prodotti da forno come i biscotti, più facilmente somministrabili ai bambini nella dieta. Queste proprietà, tuttavia, valgono solo per l’olio di palma integrale e non per le versioni commerciali raffinate.

Armi a doppio taglio. Nei paesi più sviluppati la vitamina A non è un problema ed anzi, le noie vengono più dagli eccessi che dalle carenze. Molti consumatori attenti alla salute ed all’ambiente ad esempio vedono di cattivo occhio l’uso di olio di palma nei prodotti alimentari in quanto causerebbe dislipidemie (aumento del colesterolo e dei trigliceridi ematici). Questo non solo non è vero in termini qualitativi, ma è lo stesso aumento della richiesta di olio di palma nei mercati occidentali ad essere determinato da una spinta salutistica: con la giusta condanna degli acidi grassi trans ottenuti per idrogenazione e la loro progressiva eliminazione dalle formulazioni, le aziende alimentari hanno dovuto cercare alternative percorribili per caratteristiche e costi. L’olio di palma, nella sua frazione solida, cade a fagiolo: costa poco, è disponibile in grandi volumi, consente la plasticità di burri e margarine ed ha il comportamento adatto in cottura, è neutro dal punto di vista dei lipidi ematici, non è aterogenico e non contiene acidi grassi trans. Per avere prodotti allo stesso prezzo e senza i rischi dei grassi idrogenati è l’alternativa. Il presunto problema delle dislipidemie non è qualitativo, ovvero l’olio di palma non altera negativamente questi parametri più di altri lipidi ma quantitativo: i rischi emergono perchè il nostro consumo di grassi è troppo abbondante, con un andamento che segue geometricamente il PIL delle nazioni. La colpa del colesterolo alto non sembra quindi essere dell’olio di palma o di altri oli, ma nostra che mangiamo troppo. Le diverse tipologie di oli di palma citati in precedenza hanno tuttavia comportamenti diversi a riguardo. I dati disponibili suggeriscono ad esempio che l’olio di palma integrale sia in grado non solo di aumentare la vitamina A nell’organismo ma anche di migliorare i valori critici delle dislipidemie, diminuendo colesterolo e trigliceridi nel sangue umano ed è meno aterogenico dell’olio frazionato di palma, che risulta equivalente a qualunque altro olio vegetale diverso dall’olio d’oliva. Se sottoposto ad idrogenazione, come tutti gli altri oli, anche l’olio di palma aumenta la sua pericolosità.

Perchè non usare olio integrale di palma, allora? E perchè lo stesso grado di tutela per la forma extravergine non si applica a questo olio come all’olio d’oliva? Per due ragioni, una prettamente di filiera ed una più commerciale, di accettazione da parte dei consumatori. Quest’ultima è di facile comprensione: i carotenoidi che impartiscono il colore arancio ai frutti di Elaeis ed all'”extravergine di palma” colorano anche i cibi conditi o fritti con esso e non siamo abituati ad insalate, merendine e fritture di pesce arancio-rossastre. Esiste un sistema per tenere la parte buona ed eliminare quella sgradita, ovvero per preservare l’insaponificabile ed eliminare aromi sgradevoli e componenti ossidate? Tecnicamente, esiste e sono in commercio oli prodotti raffinati con sistemi fisici selettivi come la distillazione sottovuoto o il passaggio su particolari argille non sbiancanti in grado di trattenere acidi grassi liberi e componenti ossidati ma non i carotenoidi. L’applicazione di queste tecnologie e l’applicazione di processi produttivi più attenti -soprattutto tra la fase di raccolta dei frutti e quella di produzione dell’olio- permette di esportare olio di palma “extravergine” per chi non ha problemi di colore nel piatto.

Cosa dicono questi studi: L’olio di palma integrale, non raffinato, è salutisticamente migliore di quello raffinato e frazionato, che tuttavia è tendenzialmente neutro rispetto ad oli vegetali non d’oliva in termini di dislipidemie. Eventuali danni alla salute derivano da un suo uso eccessivo o dall’impiego di oli ossidati e deteriorati, anche per cattiva manifattura di oli “extravergine” di palma, fattore che potrebbe essere ovviato migliorando la tecnologia di produzione così come è stato fatto con l’olivo. Il suo uso nell’integrazione alimentare infantile nella prevenzione delle patologie legate a carenza di vitamina A è possibile grazie ad un buon rapporto costi/benefici/accettazione. La frazione solida dell’olio di palma, non idrogenata, è meglio per la salute rispetto ai grassi idrogenati, ottenuti da miscele di altri oli a basso costo  e non determina ipercolesterolemie e dislipidemie se consumata in quantità contenute e l’allarmismo a riguardo non è giustificato.

La letteratura sugli aspetti nutrizionali dell’olio di palma è abbondante e controversa ed anche sorvolando su possibili esagerazioni nei campi dei detrattori e dei sostenitori, una cosa è certa: in molti studi non si capisce bene che tipo di olio sia stato usato nei trial clinici e nutrizionali. Olio raffinato? Olio grezzo ed integrale? Olio deodorizzato? La quantità e la qualità dell’insaponificabile presente non è quasi mai dichiarata, salvo i rari casi in cui viene programmaticamente usato l’olio grezzo, quello rosso. Il risultato complessivo confonde, perchè eventuali risultati contraddittori non sono probabilmente confrontabili tra loro. Quando si riportano studi sull’olio di palma andrebbe sempre specificato il tipo di olio usato: olio non raffinato, olio raffinato, olio raffinato e frazionato

[nota di Febbraio 2015: da dicembre 2014 per le nuove norme europee sull’etichettatura legate all’entrata in vigore del Regolamento UE 1169/2011, è obbligatorio indicare le origini vegetali specifiche per tutti gli alimenti che contengono oli o grassi di origine vegetale, quale che
sia la loro quantità. Questo tuttavia non obbliga a indicare il loro grado di raffinazione o frazionamento: “Oli raffinati di origine vegetale – Possono essere raggruppati nell’elenco degli ingredienti sotto la designazione «oli vegetali», immediatamente seguita da un elenco di indicazioni dell’origine vegetale specifica”. L’unica operazione da dichiarare è l’eventuale idrogenazione]

Edem, D. (2002). Palm oil: Biochemical, physiological, nutritional, hematological and toxicological aspects: A review Plant Foods for Human Nutrition, 57 (3/4), 319-341 DOI: 10.1023/A:1021828132707