Piante filosofali, che trasformano le foglie in oro – Parte Terza

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medal-3-1071926-mPietra filosofale al contrario. Anche se d’oro, ogni medaglia ha poi il suo proverbiale rovescio, che in questo caso ha le forme di un setaccio a maglie larghe: quel che c’è nel suolo entra nelle piante e si accumula a prescindere dalla nostra volontà. Se nel suolo c’è molto oro e vogliamo trovarlo, bene. Se le piantiamo apposta su un terreno ricco di nickel per bonificarlo, ok. Se le coltiviamo sugli scarti di miniera per recuperare gli ultimi resti di tallio, ottimo. Ma se in un terreno agricolo ci sono arsenico, piombo o cadmio in quantità superiori alla norma ci dice male, perché questi si accumuleranno col mesedimo meccanismo nei tessuti delle piante e nelle parti commestibili e non solo. E’ per questo motivo che tra i composti nocivi da monitorare negli alimenti di origine vegetale vi sono anche i metalli pesanti ed è per questo motivo che non tutti i suoli del pianeta sono adatti all’agricoltura, e non perché le verdure possano essere sporche di terra o lavorate in cattivo modo. Gli allarmi che periodicamente appaiono sulla stampa relativamente alla contaminazione da cadmio, arsenico, piombo e altri metalli pesanti in alimenti vegetali anche importanti come il riso sono sì connessi a problemi di inquinamento, ma rappresentano anche il semplice rovescio della medaglia di un fenomeno puramente naturale, col quale agricoltura e catene alimentari devono fare i conti. Analogamente, la raccolta di piante alimentari allo stato spontaneo presenta possibili rischi se portata avanti con costanza, in quanto non si hanno garanzie sulla tipologia dei suoli su cui queste piante crescono (e quindi di metalli accumulabili). Questo non vale solo per le piante commestibili, ovviamente. E’ per questo motivo che ad esempio la normativa dell’OMS per la messa in commercio di droghe vegetali impone controlli sui metalli pesanti con un limite sul cadmio a 0,3 mg/kg. ResearchBlogging.org Il tabacco in particolare è un discreto accumulatore di metalli pesanti nocivi, tra cui il cadmio e causa nei fumatori cronici un’aumentata esposizione (un fumatore medio presenta un’esposizione al cadmio doppia rispetto ad un non fumatore) e difatti per essere messo in commercio deve rispettare questi limiti. Il commercio estemporaneo o illegale di piante alimentari o di droghe come la cannabis è tuttavia al di fuori di qualunque controllo anche rispetto a queste garanzie per il consumatore, con ovvia amplificazione dei rischi connessi al consumo. Esistono indicazioni di un accumulo di cadmio nelle foglie di canapa indiana sino ad un massimo di 0,1 mg/gr di droga (sole foglie essiccate, non le infiorescenze o la resina più comunemente impiegate), molto oltre la soglia definita dall’OMS per le piante medicinali e, nel caso di un consumo costante di 1g/die di droga contaminata, molto oltre le soglie di esposizione cronica consigliata da diversi organismi internazionali. Questa quantità, per ricollegarci al discorso fatto in precedenza sul consumo di tabacco, è all’incirca pari al cadmio presente in 50 sigarette, dato che il contenuto medio di cadmio in una sigaretta è di 2 microgrammi.

Full metal leaflet. Questi scenari a volta ci giocano a favore a volte contro, ma non costituiscono certo una sfortuna casuale, quanto il risultato di preciso fine evolutivo e di una costante lotta da cui non siamo esclusi. I vegetali hanno elevato al massimo l’arte del riciclo e dato che questi composti sono presenti, perché non trovare loro qualche utile lavoretto da fare? Così in queste piante iperaccumulatrici l’evoluzione ha messo a punto un sistema che permette di prendere i proverbiali due piccioni: stoccare il materiale sgradito in maniera tale da limitarne i danni, farlo in organi destinati ad essere eliminati dall’organismo (le foglie, ad esempio, destinate a cadere ciclicamente) e al tempo stesso creare accumuli di cocktail di sostanze tossiche nelle parti di vegetazione in crescita, più appetibili per bruchi e insetti. Nella grande guerra chimica tra le piante e i loro avversari l’accumulo di metalli pre-monarch-2_21187021pesanti gioca anche questo ruolo: avvelenare il bruco o all’insetto che si vuole brucare la foglia, rendere deforme la sua progenie o, una volta caduta al suolo, creare un terreno intossicato di metalli pesanti per bloccare la germinazione di altre piante concorrenti. La selezione naturale ha infatti selezionato piante più adatte a vivere su terreni ricchi di elementi tossici privilegiando quelle dotate dei tratti più efficaci nel detossificare e limitare i danni cellulari di cadmio, nickel, arsenico e compagnia, ma ha anche trovato un modo per trasformare tutto questo in un ulteriore vantaggio.

L’accumulo dei metalli pesanti nei vacuoli, nelle pareti cellulari e persino in tessuti specializzati delle foglie e delle cortecce risponde infatti all’esigenza, di difendersi dai predatori, siano essi mammiferi erbivori o insetti fitofagi. Il riso all’arsenico ha ottimizzato un difetto trasformandolo in un punto di forza: il metallo tossico che aspira con le foglie viene accumulato ovunque nella pianta, ma soprattutto nei germogli e nelle parti più giovani, per danneggiare chi vuole mordicchiare quella parti tenerelle. Quando la capacità è comune solo ad alcune razze di una medesima specie, quelle che non accumulano metalli pesanti sono preda degli insetti in modo più marcato, come avviene in Senecio coronatus e in Thlaspi caerulescens. Sebertia acuminata, un albero originario della Nuova Caledonia e parente del Karité, preleva il nickel dal suolo e lo accumula nel latice che corre in tutto il suo organismo, rigorosamente isolato e separato da tutte le attività vitali. Il solo latice essiccato contiene fino al 25% di nickel ed un solo albero nella sua vita giunge ad accumularne oltre 35 kg ed è pertanto terribilmente tossico nei confronti di qualunque bruco ne morda le foglie. E che questa azione difensiva possa riguardar anche i mammiferi lo racconta Astragalus bisulcatus, che fa impazzire i bovini che lo brucano e uccide gli ovini: una pecora può morire di intossicazione da selenio trenta minuti dopo aver brucato meno di un kg di pianta, particolarmente abile a inglobare grandi quantità di questo elemento nei suoi tessuti. Nessuna pianta è teoricamente esclusa da questo pericolo, anche quelle descritte come più salutari dal punto di vista nutrizionale: il grano saraceno è una delle (poche) piante particolarmente abili a trattenere piombo. Certo, per noi questi esempi di passaggio da alimento salutare a tossico equivalgono ad una pietra filosofale al contrario, un contrappasso quasi punitivo che trasforma l’oro in piombo, ma il nostro non è l’unico punto di vista su questa terra.

A proposito di punizioni, Ercole riuscì a portare via dal giardino i frutti d’oro come richiesto dal re Euristeo usando la sua forza ed anche un tranello ben congegnato. Le tre Esperidi ingannate, Egle, Erizia ed Esperaretusa per scorno si trasformarono in alberi: un olmo, un salice, un pioppo nero. Tutti alberi, soprattutto il salice, ampiamente studiati per la loro capacità di assorbire metalli pesanti dal suolo. Probabilmente anche l’oro, sebbene nella revisione moderna della leggenda quei metalli accumulati possano anche diventare altro: un cibo servito freddo sul piatto della vendetta contro l’uomo che le ingannò.

Rascio, N., & Navari-Izzo, F. (2011). Heavy metal hyperaccumulating plants: How and why do they do it? And what makes them so interesting? Plant Science, 180 (2), 169-181 DOI: 10.1016/j.plantsci.2010.08.016

Wilson-Corral, V., Anderson, C., & Rodriguez-Lopez, M. (2012). Gold phytomining. A review of the relevance of this technology to mineral extraction in the 21st century Journal of Environmental Management, 111, 249-257 DOI: 10.1016/j.jenvman.2012.07.037

Meharg, A. (2004). Arsenic in rice – understanding a new disaster for South-East Asia Trends in Plant Science, 9 (9), 415-417 DOI: 10.1016/j.tplants.2004.07.002