L’invasione dei pianticorpi. Ovvero il siero segreto contro Ebola è fatto col tabacco

ResearchBlogging.orgLa signora Maria nell’ombrellone qui a fianco si agita inquieta da quando ha scoperto che in un’imprecisata parte dell’Africa (in geografia la Mariuccia sta ancora a hic sunt leones) è in corso una terribile epidemia, causata dal virus Ebola (pronunciato con due B maiuscole, come al telegiornale), con un sacco di morti e scene orrende. Lo dice così, in corsivo. Del resto la signora Maria è cintura nera di gossip da spiaggia e in piena fregola voyeuristica segue con materna passione il tentativo di salvare due volontari americani contagiati dal virus. Un tentativo eroico da ogni punto di vista, le spiego alzando gli occhi da Tuttosport: in assenza di una cura efficace i due sventurati hanno accettato di sottoporsi a un trattamento mai sperimentato sull’uomo, sebbene promettente in altri modelli animali. O la va o la spacca e speriamo che vada, come con la figlia di Gerhard Domagk e con il ragazzo affetto rabbia di Pasteur.

Pinuccio, il corpulento metronotte figlio della signora, cincischiando col tablet si apre a considerazioni sociologico-geopolitiche che spaziano dai migranti africani alla peste bubbonica, passando per il complottismo di Big Pharma e le cure alternative, ma riesco a sedarne parzialmente le ansie millenaristiche girandogli questi due link via Whatsapp. La madre nel frattempo sancisce senza possibilità di dubbio che è quantomeno strano che sia permessa una cosa del genere in America, mentre qui da noi certe cure alternative vengono addirittura vietate. La stoppo alla terza frase con un tackle scivolato da calcetto sulla sabbia, spiegando che il fantomatico “siero segreto” di cui parla il giornale non è l’edizione a stelle e striscie della cura Vannoni: la sua preparazione è stata spiegata in diverse pubblicazioni scientifiche di alto livello, disponibili per tutti e oggetto di sperimentazioni serie. Insomma, c’è del sugo. L’interdizione mi è venuta fuori un po’ brusca, per cui i due passano alla difensiva, ascoltano e iniziano a fare domande. Dopo i primi cinque minuti di arrembaggio scriteriato i vicini passano quindi al modulo catenaccio e contropiede, nel pieno solco della tradizione italiana dentro e fuori gli stadi. Ma io oltre a leggere Tuttosport ho una sedia col mio nome sullo schienale al Bar Sport e sono pronto a tutto.

Inizio dunque a macinare il mio gioco. Loro, attendisti, lo spezzettano e tentano di ripartire con folate improvvise. Kent Brantly e Nancy Writebol sono in trattamento con una miscela di anticorpi monoclonali ottenuti secondo un metodo classico della virologia: una versione depotenziata (“cioè rincoglionita“, dice la signora Maria) dell’Ebola è stata somministrata ad alcuni primati (“sì, insomma, delle scimmie“) e gli anticorpi da essi prodotti sono stati isolati e testati su animali per vedere se agivano anche contro il virus a piena potenza (“sono quelli che funzionano come voi guardie giurate coi taccheggiatori al supermarket, Pinuccio. Ascolta“). Fino ad ora le prove sono state positive, ma i due volontari americani sono i primi umani a farne uso. “Maddai, e che ste scimmie ne hanno fatta na chilata di questi anticorpi? Ce ne vorrà un botto per curare un cristiano!“, interviene Pinuccio con sicumera. Certo che non ne hanno prodotto abbastanza. Di grazia se dal primo trattamento se ne sono ottenute quantità sufficienti per le prove preliminari, ribatto in fallo laterale. No, gli anticorpi isolati dai primati sono stati poi modificati per renderli più affini all’organismo umano e quindi prodotti con cellule di criceto in colture artificiali, ma siccome la resa è troppo bassa e costano tropp220px-Nicoatiana_benthamiana_planto si usano altri sistemi. “E qua te volevo, professò. Confessa: gli americani hanno un allevamento di scimme infette che mungono per gli anticorpi!” “Figo, poi magari una ne scappa e viene fuori un casino come in quel film che ho visto ieri!“, si eccita un ragazzino su una sdraio a fianco. Mi spiace deludervi, ma niente allevamenti, niente eserciti di primati in cattività, niente camere delle torture. Per produrre il siero stanno usando delle piante geneticamente modificate, in particolare una specie australiana parente prossima del comune tabacco chiamata Nicotiana benthamiana. “Andiamo bene“, interviene il coro greco degli ombrelloni circostanti “dal virus ai mostri ogiemme. Altro che film òror“. Pinuccio chiede un time out tecnico. “Scusa ma non ho capito bene. Com’è sta storia delle piante? Come siamo passati dal virus delle scimmie alle sigarette transgeniche? Fammi rivedere lo schema che mi son perso“.

Produrre anticorpi, ovvero miscele di particolari proteine capaci di riconoscere e neutralizzare precisi intrusi, in genere virus e batteri, è complicato e costoso. Non si riescono a produrre con la sintesi chimica come l’aspirina, sono sostanze troppo complicate. Puoi usare degli animali, ma ci sono dei problemi. C’è ad esempio di rischio di contaminazione a causa di altri patogeni umani e animali (epatite, HIV e BSE, quella della mucca pazza) o di portarsi dietro proteine animali che possono causare danni imprevisti. Puoi usare dei batteri, ma ci sono altri inconvenienti, soprattutto dovuti al diverso sistema con cui questi sintetizzano le proteine. Da qualche anno per questo tipo di farmaci basati su anticorpi e composti proteici si usano invece alcune specie vegetali, che vengono “convinte a tempo” con metodi genetici a produrre esattamente gli stessi anticorpi individuati nell’uomo o negli animali, come nel caso di Ebola. E lo fanno più che bene, dato che il sistema usato per produrre il farmaco sperimentale Zmapp somministrato ai volontari americani può permettere di ottenere fino a 1 g di anticorpi ogni 2 chili di foglie di tabacco, quasi 100 volte di più che con ogni altro mezzo animale o microbico. In più, le piante sono così diverse da noi da non porre pericoli come quelli citati per gli animali, maaaa sono anche abbastanza simili da non presentare le differenze riguardanti i batteri; inoltre la mancanza di proteine analoghe nei vegetali rende più facile ed economico anche il processo di estrazione degli anticorpi. La signora Maria tenta una sortita a centrocampo: “me pare magia che se so’ inventati, tipo il 5-5-5 di coso, Canà. Una roba per fare scena“. E invece non è una novità assoluta tirata fuori dagli americani dall’Area 51, ma l’applicazione di conoscenze ben note e ben sfruttate da molti ricercatori (e industrie) al mondo per produrre vaccini e anticorpi contro epatite, colera, virus influenzali e intestinali umani e animali, anche da usare in veterinaria e persino per fabbricare l’eritropoietina (“Quella dei ciclisti? Lei“). Pure i costi sono più che vantaggiosi rispetto agli altri sistemi, transgenici e non, la metà che in animali transgenici e venti volte meno che in colture in vitro di cellule. Insomma, gli americani mettono in pratica con efficienza un sistema già abbondantemente collaudato negli ultimi 10 anni tipo lo schema ad albero di Natale, il 4-3-2-1.

Pinuccio e sua madre però iniziano a trovare la palla, e rilanciano nelle giuste zone di campo. “Si, ma se devo aspettare che la pianta cresca, campa cavallo. Con un’epidemia come questa in corso mica posso aspettare due anni che crescano le piante! Le gente muore quasi tutta dopo una settimana. Meglio sbudellare le scimmie“. Primati e animalisti possono stare sereni: il sistema usato non richiede la maturazione delle piante ed evita la via animale. In pratica si prendono piante già adulte, le si infetta con un batterio specializzato a trasferire nelle cellule di Nicotiana le informazioni genetiche giuste e queste in pochi giorni producono anticorpi in massa. Il processo si chiama agroinfiltrazione, anche perché si ottiene siringando direttamente le foglie oppure esponendo le piante a una soluzione di batterio dopo averle mese sottovuoto, e grazie ai suoi difetti N. benthamiana lo porta a termine in modo efficacissimo, dal nostro punto di vista. Anche nei difetti è importante eccellere. Questo tabacco australiano è infatti estremamente sensibile alle aggressioni di ogni tipo (virali, batteriche, fungine) perché presenta sulle foglie aperture grandi e più numerose che in altri vegetali. Le piante usano queste aperture, dette stomi, per scambiare gas tra l’interno e l’esterno delle loro foglie, ma i batteri come Agrobacterium tumefaciens le sfruttano per penetrare all’interno (“Insomma è un colabrodo, tipo la difesa di Zeman“! “Esatto, ma lo spettacolo è garantito“). Una volta dentro, il batterio preventivamente modificato inizia a trasferire materiale genetico alle cellule delle foglie, ovvero trasferisce in esse una porzione di DNA che “ordina” la costruzione della la nostra proteina antiebola, trasformando la pianta in una specie di fabbrica farmaceutica specializzata. Questo metodo permette la produzione di alcuni grammi di anticorpi in pochi giorni a partire da piante già cresciute e volendo si può passare alla produzione su scala industriale, in serra o in campo qualora ne servissero grosse quantità in tempi brevi. Basta avere le piante già in coltivazione, e con il tabacco non è certo un problema: è proprio quello che è stato fatto nel Kentucky per produrre il trattamento somministrato ai due medici americani.

E quindi anziché far scappare scimmie infette rischiamo di avere un’invasione di tabacco transgenico! Dalla padella alla brace!” rilancia sulla fascia la signora Maria sicura del sostegno di squadra del coro greco della spiaggia. La fermo con calma pensando più a Franz Beckenbauer che a Pasquale Bruno. Non ci sono più i sistemi trangenici di una volta, signora mia. In questo caso (ma in realtà anche in molti altri) si tratta di un affitto di geni, non di un acquisto con rogito cromosomico incluso. Le cellule di tabacco infettato con i geni che ordinano la produzione degli anticorpi-antiebola non vengono integrati in modo permanente nel genoma della pianta, ovvero non vengono trasmessi alle generazioni successive di tabacco e gli effetti durano solo per un periodo di tempo limitato. Si parla di espressione transiente, ovvero temporanea, più rapida di quella stabile ma meno duratura nel tempo. In più, anche se potesse la Nicotiana benthamiana modificata non sarebbe in grado di procreare. Le piante infettate producono sì anticorpi in gran quanità, ma a causa dell’infezione massiccia muoiono e quindi non giungono neppure a fioritura. E’ come la tinta per i capelli: dura per un po’, rovina il capello ma poi se ne va e le colpe del parrucchiere della madre per fortuna non ricadono sui figli. Manipolare temporaneamente la genetica di una pianta per produrre un farmaco salvavita senza ricorrere all’allevamento di animali non mi pare male.

Insomma, niente sfruttamento animale, farmaco più economico e una riverniciata alla rispettabilità del tabacco coltivato“, chiosa Pinuccio, che sarà anche un metronotte un po’ gretto ma non è per niente tonto. Mi guarda e il suo sorriso non mi piace, ha la faccia di uno che ha visto un terzino sbagliare il fuorigioco. “Tutto molto bello, ma ammesso che su questi due americani funzioni veramente come si spera, quando lo distribuiscono direttamente in Africa?

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