Di tutti i colori

Verde, nero, rosso, bianco. All’arcobaleno del tè si aggiunge un colore -il viola- ma questa volta il cromatismo non deriva da una particolare lavorazione in post-raccolta, bensì da una caratteristica intrinseca della pianta. La Tea Research Foundation of Kenya ha infatti selezionato una varietà di Camellia sinensis in grado di accumulare quantità sensibili di antociani, esaltando un tratto presente in questa come in molti altri arbusti ed ottenendo foglie di color porpora. Varietà di questo tipo sono note da qualche anno anche in oriente, ove vengono impiegate per la produzione di un tè verde di seconda scelta a causa dell’elevata astringenza e del gusto amaro, dovuto proprio all’alto tasso di catechine e polifenoli, che constringono talvolta a trattamenti con caseina per eliminare parte dei polifenoli per precipitazione. Resta da vedere se la selezione keniana ha in qualche modo limitato questi effetti collaterali.

Cosa spinge a selezionare nuove varietà e quindi droghe in questo settore? Non tanto la reale esigenza di avere tisane più ricche di antiossidanti (le differenze nel contenuto di flavonoidi e catechine sono di pochi punti percentuali rispetto ad un tè verde convenzionale) quanto il bisogno di introdurre un prodotto “nuovo” (che è diverso da “innovativo”), su cui lavorare in chiave marketing attraverso un sistema di diversificazione orrizzontale del prodotto.